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lunedì 16 dicembre 2013

Intervista ad Antonettore Maury, "Che vita di m...anager!" (Nulla Die)

Cari astronauti,

come forse ormai sapete, faccio parte della schiera degli autori della casa editrice Nulla Die e pian piano sto conoscendo i miei "colleghi"! Tra questi, Antonettore Maury, autore di "Che vita di m...anager! Storia in pillole di un manager nelle imprese italiane" mi ha concesso un'intervista per questo blog, e io che nella vita lavoro nel commercio, trovo il suo libro davvero interessante.
Prima di procedere, diamo un rapido sguardo per capire di cosa tratta.


Sinossi:
L’autore, attraverso il racconto di episodi e avvenimenti vissuti nelle imprese, condito con annotazioni sulla sua vita privata, fa un ritratto esilarante e drammatico della vita di un manager a contatto con capi non certo votati a un accettabile grado di motivazione e coinvolgimento del personale, anche dirigente.
Tra i temi trattati: la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, osservata in Germania, dove vige il sistema della Mitbestimmung (Cogestione); l’ossessione del controllo sui dipendenti; l’abitudine a orari prolungati che portano all’alienazione familiare; l’invidia e la mancanza di gratitudine.
La conclusione è amara, ma lascia spazio alla speranza a patto che i giovani e gli imprenditori più sensibili e accorti riescano a realizzare una realtà industriale dove le persone possano veramente trovarsi al centro del business.

Un saggio attuale, dunque, in linea con il periodo di crisi che stiamo vivendo.
E ora, veniamo all'intervista!

Benvenuto Maury su Universi Incantati! Da che cosa è nata l’esigenza di raccontare la sua esperienza manageriale?
A un certo punto, cioè al termine della mia esperienza lavorativa, mi sono detto che sarebbe stato un peccato se la mia lunga vita di manager fosse finita nel nulla, senza lasciarne memoria ai miei familiari, alle persone che mi hanno conosciuto, ai colleghi manager che operano attualmente nelle aziende ed agli imprenditori più avveduti.

Sbaglio, o si tratta di un’autobiografia?
Beh, non proprio. Intendo dire che il racconto della mia vita non avrebbe interessato nessuno. Nel libro ho voluto far vivere ai lettori una serie di episodi – li ho chiamati pillole, nel sottotitolo – che a mio giudizio sono rappresentativi di un certo modo antiquato e poco efficace di gestire le persone nelle imprese italiane, specie quelle cosiddette “padronali”.

Lei ha fatto per molti anni il Direttore del Personale e Generale d’importanti aziende. Non stava a lei gestire le risorse umane?
Sì, certo. Però qui non si tratta della gestione del personale in aziende multinazionali. Le aziende “padronali” hanno una loro specificità e seguono delle filosofie di comportamento nell’ambito delle risorse umane, che non sono facilmente modificabili, se non attraverso una rivoluzione culturale che coinvolga gli stessi imprenditori.

Ci faccia un esempio.
Ad esempio, il problema del controllo dei dipendenti, che assume spesso il carattere di un’ossessione, da parte di alcuni imprenditori. Solo che il controllo non risolve né il problema dell’efficienza, né, tanto meno, quello dell’efficacia. Le persone da controllare sono molte di più dei controllori e quanto ti giri dall’altra parte, il dipendente demotivato si mette in brache, come si dice.

Altri esempi?
Beh, c’è l’ossessione degli orari di lavoro prolungati, specie per i manager. Si arriva al paradosso che spesso ci si trattiene in ufficio solo per dimostrare dedizione all’azienda e non per effettive esigenze. In tal modo si rendono falsi i rapporti professionali e si rovina l’equilibrio familiare dei manager. Ci sono dei libri che hanno trattato quest’argomento ben più autorevolmente del sottoscritto, come quelli del sociologo professor De Masi. Poi si arriva all’estremo di pagare i bonus ai dirigenti in base alle ore di effettiva presenza in azienda!

Cos'altro ha osservato?
Ad esempio la completa mancanza del sentimento della gratitudine, che una volta, nelle società arcaiche pre-industrializzate, era molto importante. Ed è una di quelle cose “gratuite” che appagano molto e che non costano nulla. Dopo anni di proficua collaborazione, spesso basta un semplice episodio o un malinteso, per cambiare radicalmente il rapporto tra un imprenditore e il suo manager.

Nel suo libro si parla anche dell’esperienza in Germania, dove c’è il sistema della Cogestione.
Sì, mi ha colpito moltissimo la cosiddetta Mitbestimmung. Si tratta di un sistema di Cogestione, attraverso il quale rappresentanti dei dipendenti siedono nel Consiglio di Sorveglianza delle aziende. In tal modo è possibile per essi avere informazioni di prima mano sull’andamento delle aziende e, in caso di crisi, è molto più facile convincerli a fare i necessari sacrifici. Certo, quando le cose vanno bene, non è possibile nasconderlo, come si fa in Italia. E’ un sistema che attraverso la trasparenza e la partecipazione, rende i rapporti meno conflittuali. È per questo che la Germania negli anni scorsi è riuscita a tagliare il costo del lavoro e il regime di welfare, riacquistando quella competitività che ne fa oggi la locomotiva dell’Europa.

Lei dice che non si tratta di un’autobiografia, eppure nel testo ricorre spesso qualche pennellata sulla sua vita familiare.
In effetti, ho cercato di raccontare qualche episodio, ma al solo scopo di inserire meglio la mia storia professionale in un contesto più completo. In tal modo ritengo di aver reso più credibile il mio racconto: se sono così disposto a mostrare con trasparenza la mia personalità, credo che acquisti maggiore credibilità quanto scrivo sulle esperienze lavorative.

Lei termina il libro con un certo pessimismo…
È inevitabile, visto il racconto! Credo, anzi, che una delle cause della profonda crisi che attraversa il nostro Paese, sia nella sostanziale inefficienza delle nostre aziende, che ha tante cause – il costo delle materie prime, quello energetico, il sistema creditizio, la scarsa flessibilità del fattore lavoro, l’inefficienza dell’apparato pubblico – ma anche la cattiva gestione delle persone, che, così, non rendono quanto dovrebbero e sono molto demotivate, almeno lo sono in molte realtà aziendali.

Cosa pensa si potrebbe fare per migliorare la situazione?
Basterebbe poco: trattare le persone come uomini e donne e non come cose! Solo che è facile a dirsi – e forse anche a farsi – ma ci vogliono la consapevolezza e la volontà di farlo!

E in attesa che questo cambiamento avvenga, ringrazio Maury per il tempo concesso e v'invito a leggere il suo libro!

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