Rubrica
che raggruppa tutte le notizie su di me e le mie opere;
un
viaggio sulla luna ("pianeta donna" per eccellenza) e
ritorno! ;)
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TRATTO DAL MIO LIBRO
"Profumo d'incenso"
(capitolo in cui Marta si "addormenta" e si risveglia nei panni di Iside...)
Capitolo 5: Mummificazione
Il rumore di un tamburo, ancora quell’odore d’incenso.
Qualcosa la scuoteva e la testa le girava sempre più.
Cominciò a percepire qualcos’altro, una lingua strana, sconosciuta.
Provò ad aprire gli occhi, era tutto sfocato. Mentre sbatteva le palpebre vide: un’ombra, delle mattonelle arancioni, la luce debole di una candela, forse due…
Poi finalmente riuscì ad aprirli del tutto e quando lo sguardo dalle mattonelle si sollevò, urlò con tutto il fiato possibile.
Indietreggiò, ma nel cercare una via di fuga osservò che la stanza sembrava chiudersi in quelle quattro mura; niente porte, nessun’uscita. Trovò riparo in un angolo da dove, rannicchiata ed incredula, iniziò a scrutarlo dall’alto al basso mentre avanzava: aveva piedi affusolati, gambe snelle e la pelle scura, poi un gonnellino bianco, braccia e dita di una lunghezza fuori dalla norma, ed infine, la testa, era simile ad un cane nero, con le orecchie alte ed appuntite. Era lui.
Anubi sussurrava e Marta si chiedeva se non capiva le sue parole perché non riusciva a percepirle – per come parlava piano – o se non le capiva semplicemente perché le erano incomprensibili.
Seppe rispondersi appena fu lei stessa ad aprire bocca: inspiegabilmente, si esprimeva come lui, parlava egiziano. Lei che non sapeva neanche cosa cercasse di dire quel dio, comunicava allo stesso modo.
Egli si avvicinò, e fu così vicino che per un momento Marta si perse nei suoi occhi azzurri – quello spiraglio di luce in contrasto con tutto l’aspetto restante – e a quella distanza riuscì finalmente a capirlo:
“Iside, cosa le è successo? L’ho trovata qui, svenuta. Sono arrivato solo ora per cui non so… come sta? Si sente bene?”
Marta si chiedeva perché mai la chiamasse come la sua dea preferita: “Iside? Io non sono Iside!”
“Era qui per terra, divina. Cadendo, avrà perso momentaneamente la memoria” le poggiò la mano sulla fronte “Ora mi ascolti: io sono Anubi, dio sciacallo di Cinopolis, colui che ha inventato la tecnica dell’imbalsamazione; colui che vive sulla montagna che conduce alla dimora dei morti; colui che possiede l’Ut…”
“L’Ut?”
“Sì, le bende delle mummie. Mi sembra alquanto stordita, sua maestà… In ogni caso, lei è Iside: la grande maga e dea regina. Colei che ha insegnato alle donne l’arte del ricamo e della tessitura, vedova di Osiride e che dopo tante ricerche ha riportato qui, in tutti i suoi pezzi, per ricomporlo col mio aiuto attraverso l’imbalsamazione e restituirlo alla terra dei vivi.”
Marta si alzò: “No, io non sono Iside! E se mi trovo qui, questo deve essere un sogno: ero così tranquilla nella mia cameretta a fare il tema, quando quell’odore d’incenso mi ha fatto perdere i sensi e devo essermi addormentata…”
Anubi la osservava scettico. “… un momento. Io non ho mai comprato l’incenso. A casa non ne abbiamo.”
“Sì che ne ha, come tutti noi qui in Egitto.”
“Ma questa non è la mia casa!”
“Certo che lo è.” Lo sciacallo sbuffò “Divina Iside, deve aver sbattuto seriamente la testa. Mi rincresce ma non abbiamo molto tempo; dobbiamo procedere prima che Seth ed i suoi seguaci ci trovino. Deve pensare a suo marito adesso.”
“Mio marito? Ho solo tredici anni!”
Spazientito Anubi urlò: “Iside! Ritorni in sé! Giudichi lei stessa!”
Con le finissime dita raccolse un vortice scuro dinanzi la sua testa e volteggiando le mani in senso orario creò un disco di pietra ovale, che con un ulteriore giro diventò di vetro: “La prego, osservi...”
Le porse lo specchio e Marta stentò a riconoscersi: aveva lunghi capelli corvini che le raggiungevano metà schiena perfettamente alla pari e sopra la testa, un copricapo simile ad un falco, con le penne dorate che le circondavano il viso; al collo portava il tipico collier delle donne di rango, ossia l’usekh, composto da più giri di perle, e sui polsi come nell’avambraccio portava numerosi braccialetti, il tutto per ornare quell’anonima tunica rossa che la copriva fino alle caviglie. La cosa che più la colpì fu il viso – a parte il contorno degli occhi truccato col kohl nero – l’intera fisionomia del viso era cambiata, compreso il colore della pelle, leggermente più scura, quasi mulatta.
Stupita si toccò le guance, e vedendo le mani tremanti, notò che aveva le stesse lunghe dita di Anubi, con la differenza che le unghie erano tinte di un verde smeraldo. Indietreggiò fino ad appoggiarsi contro il muro, e l’altro dio, che non l’aveva persa di vista per un attimo, sentenziò: “Cercheremo di trovare spiegazione su quanto accaduto in mia assenza. Le farò fare una visita per determinare il suo stato di salute, glielo prometto. Ma ora, la supplico, mi dia assistenza per Osiride: dobbiamo procedere prima che sia troppo tardi.”
Marta non sapeva più cosa pensare. L’unica cosa che poteva fare era ubbidire ad Anubi: salvare suo marito.
Il dio sciacallo la prese sottobraccio per sostenerla fino al centro della stanza. Una volta raggiunto, si abbassarono per oltrepassare la tenda vermiglia che gli arrivava a mezzobusto e Marta si spaventò nel vedere il cadavere di Osiride: era sdraiato su di un ripiano che aveva, come poggiatesta, la testa di un leone e all’estremità posteriore ne riportava la coda.
D’istinto, Iside corse ad inginocchiarsi dinanzi al dio ed iniziò a piangere dicendo: “Amore mio, ce la faremo. Resisti ancora e torneremo a regnare felicemente su questa terra”.
Non sapeva perché avesse pronunciato quelle parole; non riusciva nemmeno a spiegarsi le lacrime.
Suo marito Osiride. Rispettosamente regale anche in quel momento, bello e forte come quando si erano innamorati al primo sguardo. Persino in quel momento se ne era innamorata, come se fosse stato il loro primo incontro, anche se si conoscevano da sempre.
Iside si era dimenticata di Marta. Marta non esisteva più, forse non era mai esistita.
Il suo corpo era ricoperto da bende, a loro volta ornate da talismani. Anche il sarcofago era pronto e la somiglianza era incredibile: la sua pelle verde, la bianca corona alle cui estremità brillavano ali dorate, la lunga barba; le sue fredde mani che reggevano gli scettri del pastore e la frusta.
Lo guardava rapita e non poteva fare a meno di ripensare al loro forte amore. Le ritornarono alla mente delle scene in modo così preciso, che dovevano essere per forza, realmente accadute: il primo bacio al tramontar del sole; la successiva proposta di Osiride – “Con l’alba di questo giorno inizia un nuovo regno, il nostro. Iside, se accetterai di sposarmi mi renderai il dio più felice della terra” – ; le giornate ufficiali, trascorse seduti vicini, nei rispettivi troni dorati… erano la coppia più bella ed unita di tutto l’Egitto, invidiata da molti, soprattutto da Seth. Ora ricordava anche la disperata ricerca dello scrigno, i giorni passati come governante nella speranza di riceverlo come compenso per i servigi prestati, la straziante ricerca dei pezzi del suo corpo dopo l’ennesimo tentativo malvagio di Seth…
Quanti brutti momenti passati senza di lui, chiedendosi dove fosse, sognando di ritrovarlo e riabbracciarlo; poi le altrettante delusioni nel cercare di riportarlo in vita inutilmente.
Anubi la prese per un braccio: “Coraggio, regina.” L’aiutò a sollevarsi.
Alla fievole luce delle due candele si celebrò il rito sacro: Anubi procedeva senza fermarsi, ma lentamente, avvolgendo con cautela e precisione il corpo del dio, mentre gli occhi umidi di Iside brillavano pieni di speranza.
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