martedì 3 maggio 2011

Recensione "Il mio vicino Totoro" di Hayao Miyazaki

Questa settimana, nella rubrica "Jappo W!" di TrueFantasy, ho recensito questo bellissimo film d'animazione:

"Il mio vicino Totoro" di Hayao Miyazaki



Una favola dolcissima


“Il mio vicino Totoro” è uno dei film d’animazione di maggior successo di Hayao Miyazaki e lo Studio Ghibli (che utilizza il grosso profilo di Totoro come logo dell’azienda). 
E’ un film del 1988 ma non risente dell’età, anzi, proprio come le migliori favole si fa beffe del tempo e resta sempre attuale, complice il fatto che non rivela apertamente alcuni aspetti della trama. Il film comincia con le sorelle Satsuki (la più grande) e Mei (di circa quattro anni) che si trasferiscono assieme al padre in una vecchia casa diroccata, in un paese vicino a quello dove la madre è ricoverata. Restano ignoti il contesto temporale e la malattia della madre, ma da un’intervista a Miyazaki apprendiamo che la storia è autobiografica, ispirata al periodo in cui il sensei e i suoi fratelli dovettero separarsi dalla madre (in cura in ospedale) perché malata di tubercolosi. Come solo la magia della fantasia sa fare, nel film, il dramma è solo un’ombra, perché le clip_image004sorelline avranno la fortuna d’incontrare Totoro, lo spirito della natura, e grazie a lui vivranno delle avventure straordinarie al confine tra sogno e realtà. 

A pensarci bene, a muovere la storia – e la curiosità delle protagoniste – è proprio l’ambientazione fornita dal nuovo contesto, ossia la vecchia casa e il grande albero di canfora: nella casa ci sono delle ghiande che vengono ritrovate misteriosamente oppure perché cadute dalle travi del soffitto, inoltre si nascondono i “nerini del buio” (o ”corrifuliggine”), ossia degli spiritelli “polverosi” e neri che occupano le case abbandonate e possono essere visti solo dai bambini; fuori dalla casa c’è un prato piuttosto vasto dove di tanto in tanto spira un vento fortissimo, e soprattutto è proprio in mezzo all’erba che un giorno la piccola Mei intravede (perché è in parte invisibile) un esserino peloso, bianco, con le orecchie lunghe come quello di un coniglio, che assieme a un suo simile – ma di colore azzurro e poco più grande – raccoglie le ghiande perse con fare sospetto, tanto che Mei decide d’inseguirlo attraversando siepi e un lungo tunnel, fino ad arrivare a cadere in un grosso buco dentro a un albero (scena che ricorda “Alice nel paese delle meraviglie”). É proprio qui che Mei incontra Totoro, un essere che dall’aspetto ricorda un gigantesco orso, e senza paura anche di fronte all’enorme bocca spalancata per lo sbadiglio (e clip_image006che fauci!), Mei lo accarezza e fa amicizia, affibbiandoli questo nome perché lo ha riconosciuto come un troll nel suo libro di fiabe (in giapponese troll si dice totoru, ma essendo ancora piccola, Mei storpia la parola).
La conoscenza di Totoro farà sì che le bambine incontrino un altro essere magico, il Gattobus, che come suggerisce la parola, è un ernorme gatto che funge da autobus, con sei zampe e con gli occhi che si accendono al buio come una vettura con gli abbaglianti, e l’amico avrà un compito molto importante verso la fine della storia. 

Da notare che questi esseri magici, Totoro e il Gattobus su tutti, hanno un enorme sorriso a non so quanti denti (e Gattobus ricorda lo Stregatto di Alice), come per contrastare la tristezza legata alla vicenda della madre, inoltre, comprendono i desideri delle bambine, ma loro non parlano mai; è un rapporto che sembra costruirsi più sui gesti che sulle parole, come ad esempio nella famosa scena dove alla fermata dell’autobus, sotto la pioggia, Satsuki presta un ombrello a Totoro e in cambio lui le da un sacchetto di semi. Anche nei semi si può trovare il significato corrispondente, perché i semi, e i successivi germogli che nascono, sono una chiara metafora sulla vita.

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Nelle storie di Miyazaki emerge solitamente un chiaro messaggio ambientalista, e “Il mio vicino Totoro” non fa eccezione: è un messaggio che troviamo nelle immagini (vaste distese, piccoli torrenti, cieli sereni e tempeste...), in Totoro stesso che rappresentanta la natura, ma direi anche nelle scene di vita quotidiana, di una vita caratterizzata da cose semplici e umili, genuine come il rapporto che si crea con una “nonnina” di adozione, come quello stretto e affettuoso con il padre, e quello sincero e complice tra le sorelle, solido anche nelle difficoltà.  

Poi c’è il fattore dolcezza.
Dolcezza nella nonnina, nel padre, nei modi apparentemente bruschi del ragazzino Kanta, nei gesti di Totoro e i suoi amici... ma soprattutto, quanta tenerezza in queste bambine! In Mei, nel ripetere i gesti e le parole della sorella maggiore, nel capriccio, nei giochi, nell’ingenuo desiderio di raggiungere la madre a piedi solo per poterle dare la pannocchia che, come dice nonnina, “fa diventare più forti”, poi in Satsuki, nello scrivere lettere alla madre, nell’occuparsi di Mei, nel prendersi responsabilità fino a sostituire la figura della madre, ma davanti all’ignoto e alla paura – clip_image010quella più grande – è pur sempre una bambina anche lei...

Consiglio “Il mio vicino Totoro” perché non è un film solo per bambini: qui si riscoprono dei valori, e si passa un’ora e mezza in modo vivace e spensierato. Perché a volte le emozioni più intense sono date dalle cose apparentemente più semplici.





leggi l'articolo su TrueFantasy "Jappo W!"

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