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martedì 4 giugno 2019

Recensione: "Daisy Miller" di Henry James (Baldini Castoldi Dalai Editore)

Cari astronauti,
anziché recuperare le vecchie recensioni ("Mansfield Park" letto a marzo, "La Piccola Parigi" letto ad aprile, "Albion" letto tra aprile/maggio, "La Metamorfosi" letta a maggio), oggi ve ne propongo una per un libro che ho letto e finito giusto ieri! Prima che mi dimentichi ciò che voglio scrivere a proposito... ;)
Questa è una lettura che deriva dal GDL #ATeheranConNafisi, basato sulla lettura di "Leggere Lolita a Teheran" di Azar Nafisi (Adelphi), una lettura che ci sta prendendo molto e ha creato un gruppo ben affiatato! Per seguire i nostri post vi rimando all'hastag su Instagram #ATeheranConNafisi, mentre qui sul blog è tempo di farvi conoscere questo racconto, prima con la scheda del libro, poi con la mia recensione.




Titolo: Daisy Miller
Autore: Henry James
Editore: BCDeditore 
Genere: Narrativa, Classico della letteratura
Data di uscita di quest'edizione: 10 Aprile 2012
Pagine: 95
Formato: cartaceo
ISBN: 978-8866203209
Prezzo: € 5,90 2,66
Link per l'acquisto: amazon


Sinossi:
Daisy Miller è una giovane americana, spontanea e sincera, in vacanza in Europa che, nonostante la sua assoluta innocenza, viene criticata e addirittura messa al bando dai suoi connazionali per i suoi modi disinvolti e per i suoi rapporti troppo amichevoli con un giovane italiano.


Le recensioni e gli articoli di Universi Incantati


Daisy Miller è un racconto di appena un'ottantina di pagine, incentrato sulla conoscenza di una giovane ed emancipata americana da parte del protagonista Frederick Winterbourne, suo connazionale.
La storia è raccontata dall'autore quale voce narrante che segue esclusivamente Winterbourne quanto arriva a Vevey, in Svizzera, per trovare la zia, che poi subito s'imbatte in un ragazzino loquace e scalmanato che le presenta la sorella Daisy Miller: a seguito di un'uscita che prevede la visita nel celebre castello Château de Chillon, dove Winterbourne le fa da guida col pretesto di passare del tempo da solo con lei, la ragazza le dà appuntamento a Roma, ed è qui che si spostano gli atti finali.

I veri protagonisti di questa storia non sono gli americani affascinanti dal "vecchio mondo" europeo, ma il pettegolezzo e il pregiudizio, quest'ultimo spesso collegato alla terra d'origine (le ragazze americane sono civettuole e i ragazzi italiani dei pavoni senza nulla da offrire), alimentato dai comportamenti di Daisy, ritenuti sconvenienti perché esce con uomini diversi, senza considerare la tarda ora, per di più lo fa da sola senza mai essere seguita dalla madre come invece impone l'etichetta. Il fatto è che la ragazza non è consapevole delle voci che circolano sul suo conto e non se ne cura: lei segue semplicemente il suo istinto ed è spontanea, del tutto ignara delle regole del bon-ton, in generale di scarsa cultura, persino ingenua nel fidarsi così ciecamente di qualsiasi uomo che le si presenti; pretende poi le stesse facili inclinazioni dagli uomini che subiscono il suo fascino, arrivando persino a offendersi all'idea che Winterbourne, appena conosciuto, abbia un'altra donna cui tornare a Ginevra, e si irrita nel vederlo presentarsi a Roma solo due mesi dopo. Gli tiene persino il muso! E' chiaro che Daisy Miller sia un po' sopra le righe e alquanto bizzarra per l'epoca, ma sembrerebbe di vedere una ragazza d'oggi, indipendente, circondata da pretendenti, e forte di questo, un po' capricciosa. Per certi versi mi ha ricordato Emma Bovary, con la differenza che Daisy Miller sembra conservare quella sua aria innocente e pura, quasi fanciullesca, e mi ha ricordato anche l'omonima Daisy de Il Grande Gatsby, ma solo per quanto riguarda il fascino che subiscono gli uomini quando se la trovano davanti. In ogni caso, Emma Bovary e l'altra Daisy sono donne sposate, perciò Daisy Miller, nubile, potrebbe flirtare quanto vuole! Ma la società perbuonista americana preferisce condannarla e allontanarla pur di salvare la faccia, ostinandosi a ritenersi migliore, quando l'autore ci informa, ad esempio, che "Winterbourne ricordava d'aver sentito dire che le sue belle cugine di New York, figlie delle due figlie di questa signora (Ndr: Mrs. Costello), erano delle 〝incredibili civette〞" quasi a dimostrare che chi giudica è a sua volta giudicato e soggetto a malelingue. Lo stesso Winterbourne non fa eccezione: il racconto si apre proprio con questa sua presentazione: "Aveva ventisette anni; quando i suoi amici parlavano di lui, sostenevano che la ragione del suo prolungato soggiorno a Ginevra fosse la sua devozione per una signora, straniera e più vecchia di lui. Ben pochi americani - anzi, forse nessuno - avevano mai visto questa donna, attorno cui circolavano stane leggende...", è a sua volta complice di preconcetti quando incontra il nuovo amico di Daisy ("Mr. Giovanelli aveva certamente un bell'aspetto, ma Winterbourne si sentì ribollire di indignazione al pensiero che la sua graziosa compagna non sapesse distinguere istintivamente un galantuomo da un tale soggetto. Giovanelli chiacchierava, scherzava e si rendeva gradevole. Bisognava ammettere che, per essere un'imitazione, era un'imitazione abilissima") e finisce col dare credito alle voci su Daisy, soffocando sia la curiosità che aveva nei suoi confronti sia quel sentimento che stava per nascere per una sorta di pseudo gelosia che definirei competizione al testosterone. Ed è proprio quando si perde l'incanto che la realtà presenta il conto; sono le parole di Winterbourne la condanna definitiva di Daisy, mentre le righe finali parlano ancora delle voci in circolazione su questa misteriosa donna che lui avrebbe a Ginevra. Il cerchio si apre con i pettegolezzi su Winterbourne, e così si chiude.

L'epilogo, inaspettato e insospettabile, sembrerebbe insensato per come si pone e ci lascia un po' male, ma è palese che contenga un messaggio: la società americana sembra perseverare nel suo peccato, mentre Winterbourne è divorato dai sensi di colpa e dal rimpianto, e ha infine compreso che Daisy era  una vittima innocente, una ragazza semplice, anticonvenzionale, che, come dice l'italiano Giovanelli, "faceva ciò che voleva!" A tal proposito, cito un altro passo all'interno del racconto che credo sia uno dei più significativi, oltre che a riassumere perfettamente il tema del libro:




Winterbourne non la incontrò più nei salotti delle comuni conoscenze perché, come poi seppe, queste accorte persone avevano deciso che la ragazza esagerava. Smisero di invitarla e fecero capire che desideravano fermamente dimostrare, a beneficio degli osservatori europei, la grande verità che, malgrado Miss Daisy Miller fosse una bella giovane americana, il suo contegno non era bello affatto, ma anzi veniva considerato mostruoso dai suoi stessi compatrioti. Winterbourne si chiese che cosa pensasse Daisy di tutta quella gente che le voltava impietosamente le spalle, e qualche volta lo turbava il sospetto che lei semplicemente non sentisse né sapesse niente. Si diceva che era troppo leggera e infantile, troppo primitiva e irragionevole, per soffrire o temere un simile trattamento. In altri momenti, pensava invece che si racchiudesse, nella sua elegante e irresponsabile personcina, una spavalda, appassionata e lucida coscienza dell'impressione che produceva. Si chiese se l'aria di sfida che Daisy mostrava le venisse dalla consapevolezza della sua innocenza o dal suo essere sostanzialmente una giovane donna assai audace. [...] Come ho già avuto occasione di dire, era stanco di trovarsi costretto a
ragionare sempre su quella ragazza; era avvilito dalla propria indecisione, dal non
avere una certezza istintiva su quanto le eccentricità di Daisy fossero
generiche e nazionali o volgarmente personali.




Volendo, potremmo leggervi anche un altro messaggio: l'amore è quella forza che ci chiude all'ascolto di tutte le altre voci per concentrarsi unicamente sul nostro cuore, quello soltanto.

Sarò sincera e ora riporterò alcune mie riflessioni sul libro: questo racconto si legge fin troppo velocemente, non brilla per lo stile di scrittura e le descrizioni si limitano all'essenziale, ci sarebbero alcune lacune riguardo al profilo dei personaggi... ma non è questo ciò che conta! Quando ho chiuso il libro sono rimasta perplessa ed ero tentata a esprimere un giudizio che non fosse superiore alle tre stelle, ma il giorno dopo, oggi, quando ripensavo al nocciolo della storia e a ciò che vuole trasmettere, ho pensato che ero stata troppo severa e limitata. Non voglio di certo essere come la società americana denunciata dall'autore: voglio guardare in profondità, oltre la superficie.
"Daisy Miller" merita di essere letto perché è di una semplicità apparente, e a distanza di giorni mi ha lasciato qualcosa nel cuore, e qualcosa anche su cui ragionare.
Una prerogativa della grande letteratura, giusto?


Il voto di Universi Incantati:




Cosa ne pensate, carissimi?
Avete letto questo classico; vi è piaciuto?
Fatemi sapere nei commenti!



mercoledì 8 febbraio 2012

Recensione "Il Burattinaio" di Francesco Barbi (Baldini Castoldi Dalai)




"Il destino non lo si può cambiare, ma lo si può ingannare"

Dopo "L'Acchiapparatti" non vedevo l'ora di ritrovare la compagnia di Zaccaria, il gigante Orgo e gli altri. A muovere la storia erano infatti i personaggi, protagonisti grotteschi che catturavano l'attenzione tanto che non ci si accorgeva che la trama si sviluppava al tempo stesso, e in sottofondo, come conseguenza delle loro azioni. Ne "Il Burattinaio", invece, i personaggi che abbiamo imparato a conoscere sono al servizio della storia: si percepisce che tra un punto di vista e un altro si va svelando, tassello per tassello, una trama ben precisa. Dove vuole arrivare la storia? Se vi chiedete questo, siete stati ingannati anche voi. "Il destino non lo si può cambiare, ma lo si può ingannare", così, a muovere le sorti di ogni personaggio e a definire la storia è un unico e solo personaggio: il Burattinaio!

Quattro anni dopo la scomparsa del Boia di Giloc, l'Arconte Ossor riceve una lettera dal Consigliere della Signoria di Giloc, Melzo, che evidenzia alcuni misteri sulla vicenda, in particolare riguardo al legame tra l'orrenda creatura e lo stregone che l'ha evocata, rappresentato da un cerchietto metallico capace di piegare il Necromortenorth (questo il vero nome del Boia) ai suoi ordini. Consultando l'Oracolo che ha previsto la caduta del Regno di Olm, l'Arconte Ossor si convince che l'imminente catastrofe ha a che fare con l'oscura vicenda riportata da Melzo, per cui invia a Giloc il suo fidato Indice a capo di una squadra di Guardiani dell'Equilibrio al fine di condurre alcune indagini e riesumare il cadavere della creatura per ritrovare il fantomatico oggetto.
L'acchiapparatti ora stregone Zaccaria, intanto, si è stabilito nelle vicinanze di Ombroreggia con la strabica strega Guia, il mentecatto gigante Orgo, e gli orfani Steben e Frida scampati al massacro del Boia di Giloc nel primo libro. Zaccaria ha sempre parlato al plurale quando si riferiva a se stesso, ma ora è chiaro più che mai che in lui abitano, non due, ma ben tre diverse personalità, una di queste temuta dall'intera compagnia, che quando prende il sopravvento in Zaccaria lo lascia terribilmente dolorante e sfinito: Zaccaria lo chiama Gul. Gùlghezac è invece il nome che Zaccaria usa per definire se stesso quando è occupato dalle tre personalità in contemporanea: se "Zac" lo conosciamo e "Gul" lo impareremo a conoscere, colui che si nasconde in "Ghe" ci stupirà. Ma quale delle tre prenderà il sopravvento?

Dal primo libro faranno una breve apparizione anche Tamarkus lo speziale e Osmano il proprietario del bordello, mentre seguiremo parallelamente, fino al loro incrociarsi, le vicende dell'ex-prostituta Teclisotta (Isotta per gli amici), il capitano della Guardia di Giloc, Fulciero, ma soprattutto lo sfigurato cacciatore di taglie Gamara, colui che più di tutti incarna la figura dell'eroe invincibile.
Grandi ritorni ma anche grosse novità, con l'arrivo di personaggi come i figli di Fulciero, Tino e Nodo, lo squallido raccogli-orfani Medoro con gli orfani al seguito, e poi ancora menestrelli, girovaghi e nani, in un lungo viaggio che parte dalle Terre di Confine e va oltre, fino al Regno di Olm. La mappa che vediamo in prima pagina, subito dopo la copertina, si estende infatti fino all'ultima facciata del libro; ecco perché non trovavo il villaggio di Medara!

La scrittura di Francesco Barbi era ottima, ora è eccellente, con una padronanza linguistica da far invidia, termini tecnici e descrizioni dosate al giusto in una lettura che non annoia mai, nemmeno se si tratta di 527 pagine. L'alternarsi dei POV non disturba, al contrario aggiunge intrigo e suspance (ad esempio, leggere che Gamara sta per lanciarsi all'attacco per poi passare al punto di vista di chi sta per subirlo), inoltre, siccome mi sono trovata a leggere il libro negli intervalli di tempo - purtroppo -, sono riuscita comunque a star dietro alla vicenda, segno che non si tratta solo di una buona memoria, ma piuttosto di una storia che sa farsi ricordare, complice, lo ripeto, la personalità ben definita dei personaggi, tanto che solo a leggere una parte del testo si capisce chi è che sta parlando. 
Il momento che più definisce un personaggio è proprio durante il dialogo: già avevamo il contorto esprimersi di Zaccaria, folle quanto saggio, e i proverbi di Orgo pronunciati quasi fossero un dialetto (risate garantite; continuo ad adorare il gigante), ora abbiamo l'Oracolo che si esprime in numeri, un nano balbuziente, una delle Guardie di Confine, Tibaldo, che dopo aver perso un dente perde anche la lettera "t" (adoro la cura nei dettagli!), ma soprattutto c'è lui, l'Indice, che sostituisce la "c" con la "z" e raddoppia la "s", insomma, che così parlando fa ridere, ma vedendo poi come si comporta ci viene automatico chiudere la mascella; in sintesi, un antagonista spietato che ha anche dei punti deboli (e non solo nella pronuncia).

A proposito dell'indole spietata dell'Indice, anche stavolta troveremo delle scene crude e violente: nel primo romanzo si presentavano nel momento in cui entrava in scena il Boia di Giloc; in questo seguito vedremo come anche gli esseri umani siano capaci di atrocità (il che è anche peggio), siano essi l'Indice o i Guardiani dell'Equilibrio, sia pure con Gamara. Abbiamo violenza anche nella parte che riguarda il raccogli-orfani (soprattutto psicologica), o più sul finale quando si presenta la vicenda dei Malnati (il comportamento dei Servi della Luce ricorda vagamente la realtà ebrea). Il primo libro, inoltre, aveva visto la morte di diversi personaggi innocenti, perlopiù si trattava di personaggi secondari, qui invece vedremo la scomparsa di alcuni di quelli che si possono considerare di rilievo, cosa che mi ha colto di sorpresa ma che contribuisce a rendere una storia fantasy più realistica. Solo, è un peccato che non si spenda qualche parola in più sugli interessati.
Che "Il Burattinaio" sia indirizzato a un pubblico adulto lo si evince anche dalla presenza di alcune scene erotiche, non tanto perché siano spinte, più che altro per via del comportamento provocatorio femminile. Mi riferisco a Frida, l'unica bellissima nella storia de "Il Burattinaio" (e nemmeno ne "L'Acchiapparatti" c'erano i belli) che essendo anche giovane vive appieno le passioni legate alla fisicità e la scoperta di nuove sensazioni; vedremo come la giudicheranno gli uomini, Guia, e persino Isotta (che lo faceva di mestiere), ma d'altra parte vedremo anche come cambierà in un epilogo da rimanere a bocca aperta.

Ci sarebbe ancora altro da dire, a proposito del culto della Luce, dei suoi fanatici seguaci e degli "infedeli" (l'Equilibrio non può esistere solo nella Luce; si deve considerare anche l'Ombra!), a proposito degli effetti della Spinavera (una vera e propria droga che causa anche dipendenza), di quello spirito che entra nei corpi altrui ma che si contamina della loro coscienza e agisce anche tenendola in considerazione (fantastico, lo adoro!), di come la Somma Lucernaria ricordi la pratica della sedia elettrica (che tensione...) e a episodi geniali come il modo in cui  a Gamara viene consegnata una certa chiave, ma mi limito, appunto, a queste brevi considerazioni tra parentesi perché preferisco soffermarmi sullo straordinario epilogo.
A parte che non vedevo l'ora che quell'"essere" ritornasse, a un passo dalla resa dei conti me lo immaginavo che sarebbe finita così, vista la ricorrenza di parole come "sacrificio", "scelta", "vendetta", "consapevolezza" e "accettazione". Poi quel ciondolo che rappresenta la speranza, il giovane che scampa al pericolo e la frase che Guia rivolge a Steben, una delle migliori frasi che abbia mai letto.
Ancora più emozionante è vedere cosa accade in seguito, in quelle che non sono nemmeno una ventina di righe: Steben ha scelto chi essere; parla come lui.
In quelle poche righe è racchiuso un intero, nuovo romanzo, un ipotetico terzo libro che credo Barbi non ci regalerà, ma che la nostra mente può comunque elaborare.
Allora sognerò ancora.



venerdì 3 giugno 2011

Recensione "Cuore nero" di Amabile Giusti (Baldini Castoldi Dalai Editore)

Recensione "Cuore nero" di Amabile Giusti (Baldini Castoldi Dalai Editore)








*** Attenzione: di seguito anticipazioni sulla trama (SPOILER) ***


Un romanzo denso e corposo.. come sangue.


Ho appena finito di leggerlo. Ho il cuore in gola, tanto che non riesco a formulare altre parole se non un aggettivo: meraviglioso.
"Cuore nero" è uno di quei romanzi capaci d'incollare il lettore dall'inizio alla fine, e nonostante in certe situazioni lo si possa trovare molto simile a "Twilight", costringe a rimangiare il pensiero e ad allontanare il paragone, perché quel che succede non è mai quel che ci aspettava: il suo punto di forza è l'imprevedibilità.

Il romanzo è un "tomo" diviso in quattro parti, e lo dico subito, auto-conclusivo (yahoo!). Già nella prima parte, quando Giulia s'imbatte nell'enigmatico Victor Lassalle fuori dalla villa abbandonata, e prontamente il giorno dopo Max - il compagno di scuola che l'aveva scaricata dopo una brevissima relazione - torna a rivolgerle la parola solo per dirle di stare lontano da quell'individuo, non riuscivo a individuare chi dei due fosse il vampiro! Si capisce che entrambi siano esseri soprannaturali, per la cronaca, agli antipodi, tuttavia non riuscivo ad identificarli, e in questo modo ho vissuto tutto lo stupore insieme a Giulia (be', veramente io mi sono svegliata un po' prima), leggendo avidamente per arrivare a scoprire la verità.
Fatta luce su questa faccenda, dalla seconda parte si presenta quell'oggetto che Blaise Lassalle (padrone della villa e parente di Victor) aveva scoperto durante i suoi esperimenti sui vampiri, ossia la Pietra di Sole; il mistero non riguarda il suo potere, quanto piuttosto al come si evolverà la situazione, dato che l'oggetto attirerà una folla di vampiri a Palmi (città della protagonista) e non è ben chiaro cosa voglia farci Max, così come non sono chiare le intenzioni di Victor.
La terza parte è invece incentrata su Max, sul suo passato e il suo possibile futuro, e va alimentando speranze per un'evoluzione assurda (o forse farei meglio a dire, "involuzione"), sia nel corpo, ma più evidentemente nei sentimenti, perché in "Cuore nero" si dice che i vampiri non provano emozioni, e quando si sarà abituati a questa verità, ossia che l'interesse di Max per Giulia era sempre stato solo ed esclusivamente per fame, la situazione si ribalterà. Ma in fondo, non me l'ero bevuta sul serio!
La quarta parte, infine, spiazza. Dovevano tornare tutti i conti, e tornano, ma diversamente da come ci si aspettava; l'autrice non avrebbe potuto fare un finale migliore, un finale che rende il tutto... indimenticabile (non è un caso se uso questa parola).

I vampiri, come accennato, non possono provare sentimenti, ma "Cuore nero", enigmi e urban fantasy a parte, è un romanzo che nei sentimenti trova proprio la sua base, il nucleo, il cuore.
La prima rappresentante è Giulia, complice la passionalità, la grinta, e la spinta incosciente della sua giovane età, ma dopotutto queste caratteristiche potrebbero dipendere anche dal carattere, e di carattere la protagonista ne ha da vendere. A volte l'ho trovata un po' pesante, per il fatto che non si rassegnasse alle dichiarazioni di Max, e ostinata e senza un minimo d'orgoglio personale continuava a stargli dietro, pedinarlo, tentarlo... non mi stupiva che Max si stufasse. D'altra parte però, capivo la testardaggine e soprattutto il cuore ferito, perché Max toglie in egual misura a quanto dà, e se si conta come quanto poco possa bastare a un cuore innamorato, ebbene, lui dà di più. Come non confondersi? Come non intestardirsi?
In questo romanzo l'amore è tormentato, per questo diventa intenso, ed è molto più reale dell'invaghimento di Bella per il perfetto Edward (sono caduta nel paragone!) perché a volte per una donna è più travolgente il buio, un'amore che sa di sbagliato tanto fa male, un'amore che fa quasi uscire di senno, e che come le sabbie mobili, quanto più vuoi uscirne, tanto più affondi; un'amore che spreme tutte le forze vitali.
Emozioni e carattere sono altrettanto sviluppati in Max, anch'egli intestardito, ma dal lato opposto, soprattutto perché a sua volta tormentato; non rivelerò altro per lasciare il piacere della scoperta.
Un altro personaggio che mi ha colpito per le sue caratteristiche è la madre di Giulia, Anna: purtroppo è vero, ci sono anche madri così, che tutte prese dai loro problemi non si accorgono del malessere dei figli, ovvero coloro che più di tutti hanno bisogno di attenzioni. Anna è una madre che ha lasciato che prevalessero in lei sentimenti quali rancore e rabbia, inconsapevole che così facendo deprime anche le figlie (Giulia ha una sorella, Laura), e addossa loro i suoi problemi, le sue fissazioni, infine, il suo pensiero. Sensazionale è il risvolto successivo; mi ha commossa.
Vorrei poi ricordare anche Paolo, ragazzino che a seguito di un incidente dove il suo migliore amico ha perso la vita, "guadagna" il dono di vedere la morte; la seconda parte del romanzo si concentrerà anche su questa faccenda. Anche qui avremo dei risvolti inaspettati, che ci fanno comprendere come la mente umana sia così poco adatta ad esperienze ultraterrene, perché per via dei sentimenti ogni cosa acquista peso sulla coscienza.

Una delle tante idee che "Cuore nero" mi ha soffocato sul nascere, è quella del triangolo amoroso: per fortuna Victor Lassalle ha un ruolo molto più complesso rispetto a quello di un mero rivale. Non mancherà di sorprendere a sua volta, e ho trovato altrettanto originale la natura che l'autrice dà agli esseri come lui, i cacciatori di vampiri; in effetti la prima parte del romanzo è intitolata "un angelo sulle scale" ed è a lui che indubbiamente si riferisce.

Se "Cuore nero" è così avvincente è anche grazie allo stile dell'autrice: il linguaggio con cui si esprime Giulia è estremamente attuale, con continui riferimenti alla quotidianità a diretto contatto con qualsiasi giovane (trasmissioni televisive, film, libri, manga...), il che contribuisce a rendere il contesto il più vicino possibile a quello reale.
Amabile Giusti scrive in modo semplice e diretto, e nella sua disarmante chiarezza esprime concetti e messaggi universali.
Ho adorato il finale perché, tra le altre cose, emerge questo messaggio: non è detto che semplicemente perché una è giovane può superare le cose e andare avanti; sapere di avere un lungo futuro non è un motivo sufficiente per consolarsi, e in certi casi, ci vuole un intervento "esterno" per guarire le ferite del cuore.
Il tema dell'abbandono è una costante in questo libro che ha tanto di fantasia quanto di realismo.

Che sia per sognare o per riflettere, questo è un romanzo assolutamente da non perdere.




martedì 10 maggio 2011

Segnalazione "Gli scoiattoli di Central Park sono tristi il lunedì" + Blog candy

"Gli scoiattoli di Central Park sono tristi il lunedì" è il terzo e ultimo romanzo di una saga familiare scritta da Katherine Pancol.


I primi due libri, "Gli occhi gialli dei coccodrilli" (2009, Baldini Castoldi Dalai) e "Il valzer lento delle tartarughe" (2010, Baldini Castoldi Dalai) hanno venduto un mezzo milione di copie ciascuno, solo in Francia.

Cosa narra la saga è presto detto: gli incontri e scontri di due sorelle, Iris e Joséphine. 
La prima è bella, ricca e vive un matrimonio in apparenza felice; la seconda è stata abbandonata dal marito e deve fare i conti con due figlie da crescere e una serie di difficoltà finanziarie. Sono donne che hanno dei grandi sogni: per Iris c'è quello di diventare una sceneggiatrice, per Joséphine, quello di affermarsi come studiosa di storia medioevale. Il punto di svolta arriva quando Iris conosce un editore e gli fa credere, per darsi un tono, di essere alle prese con la stesura di un romanzo; davanti all'offerta dell'uomo di pubblicarlo, Iris si rivolgerà alla sorella chiedendole aiuto per scriverlo. L'una intascherà il successo, l'altra il denaro. Tuttavia, quando il libro diventerà un best seller, il risultato inaspettato sconvolgerà le loro vite...

Si tratta di una saga ricca d'intrighi e argute metafore sulla vita, incentrata sulla psicologia dei personaggi e sull'analisi della natura umana.

Ma vediamo cosa narra in particolare quest'ultimo libro:
Ne "Gli scoiattoli di Central Park sono tristi il lunedì" Iris non c'è più, ma Joséphine non riesce a darsi pace; il pensiero della sorella l'accompagna ogni giorno, s'insinua nel suo rapporto appena sbocciato con Philippe (il cognato) e lo soffoca sul nascere. Con Philippe a Londra che la cerca invano, la vita di Joséphine a Parigi ruota intorno alla vita della figlia Zoé (alle prese con le ansie e i timori del primo amore) e all'assoluta necessità di scrivere un altro romanzo. I soldi guadagnati col primo stano finendo e Gaston Serrurier, l'affascinante editore che crede nelle sue capacità, la sprona a fare lo stesso e la incita a trovare una nuova storia da raccontare. Ancora una volta i personaggi di Katherine Pancol si affannano, si disperano, gioiscono nel tentativo di afferrare un lembo di felicità, sempre pronta a sfuggire all'ultimo momento. Lo sanno bene gli scoiattoli di Central Park, che si accontentano di piccoli istanti di gioia perché non sanno se durerà, perché del futuro non c'è certezza. Ma se non sei felice oggi, chi dice che non potrai esserlo domani?

E ora vi lascio al Blog Candy che si tiene nel blog ufficiale dell'editore: in bocca al lupo!



«Se non avete letto ancora Katherine Pancol, fatelo.»
Il Venerdì di Repubblica
«I suoi romanzi hanno venduto milioni di copie e sono tradotti in tutto il mondo.
Per la Pancol la letteratura è una storia di successo. »
Fabio Gambaro – La Repubblica
«Situazioni altamente improbabili, belli-ricchi-e-famosi, Parigi da cartolina:
la "formula Pancol" prevede tutti gli elementi del genere. »
D La Repubblica


Prossimamente, la mia recensione ^^

mercoledì 4 maggio 2011

Novità per Universi Incantati

Universi Incantati cresce giorno dopo giorno.



Sto provando a fare conoscere il mio blog attraverso l'inserimento nei siti come blog360gradi, paperblog, net-parade (a tal proposito, votate qui!) e soprattutto, richiedendo uno scambio-banner con altri blog letterali (cosa utile anche per fare nuove conoscenze ed essere sempre aggiornata sulle novità o i giveaway! ^^).

Anche la grafica del blog è leggermente cambiata: nella pagina principale ora c'è un menu più semplice e intuitivo, con in testa la Home, Profumo d'incenso (il mio primo libro edito), Il mio universo (biografia, testi inediti e tutto ciò che riguarda moi), Universi Lontani (recensioni e articoli) e finalmente, ho aperto una casella e-mail per il blog e la potete trovare nella voce Contatti (universiincantati@libero.it).

La sezione laterale a destra, ora è più una chicca che un menu perché contiene extra su Universi Incantati (come i premi), informazioni generiche sulle mie attività (come lo schermo di youtube con gli anime che sto seguendo), cosa sostengo (l'iniziativa Autori per il Giappone), i giveaway (provenienti da altri blog... per ora ;)) e tanto altro ancora. In particolare segnalo "Universi Incantati Vende" perché ho deciso di separarmi da alcuni libri (tra cui anche di doppi!) e preservare la mia libreria nuova di zecca che già è bella provata per la mole di libri che contiene (assieme ai videogiochi ^^). Quindi mi sono iscritta su Comprovendolibri.it e a questo indirizzo potrete trovare titoli come:



Tengo a precisare che le condizioni dei miei libri sono perfette, come nuovi (tratto questi oggettini come cimeli *__*)

L'altro particolare che desidero segnalare a proposito del menu a destra, è il reparto Collaborazioni perché è una notizia fresca di stamattina che la Baldini Castoldi Dalai mi ha inserito tra i contatti che ricevono libri in anteprima da recensire (yeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!!!).


Finalmente una bella notizia dopo mesi così-così (un periodaccio, da una serie di lutti a problemi di ogni sorta); l'unico modo per superare momenti come questi è, chiaramente, avere qualcuno accanto - come mio marito e, settimanalmente, la mia migliore amica ^^ - ma anche avere degli obiettivi, cosa che la lettura/scrittura mi offre in continuazione (come la amo!).

Infine, è da un po' che ci pensavo: ogni blog letterario che si rispetti ha il suo equivalente nelle pagine fan di Facebook. Allora l'ho fatto! Universi Incantati ha la sua pagina fan, e appena FB smette di farmi le "bizze" (non riesco nemmeno a caricare l'immagine del profilo, d'oh! >_<) apparirà anch'essa nel menu qui a destra.

E questo è tutto, alla prossima recensione!

(nel frattempo, visto il continuo malfunzionamento di FB, il mio stato è passato da "D'oh!" a "Grrrrr!!!!")

martedì 3 maggio 2011

Recensione "Soulless" di Gail Carriger

Recensione "Soulless" di Gail Carriger (Baldini Castoldi Dalai)





Alta borghesia e steampunk: la strana coppia a braccetto


La cosa che più mi colpì quando lessi la prima recensione di questo romanzo fu la definizione del genere: un urban fantasy in stile Jane Austen. Sicuramente Gail Carriger si è ispirata alla famosa autrice, tuttavia ho trovato il suo stile dinamico, fresco, caratterizzato da un'ironia pungente e maliziosa, in sostanza, uno stile tutto suo, al passo con i nostri tempi (per fortuna! Lasciamo a J.Austen quel che è di J.Austen!)

La ventiseienne "zitella" dalla lingua lunga, Miss Alexia Tarabotti, la protagonista, mi ha subito ricordato Anita Blake: è un personaggio carismatico nonché l'incarnazione della donna moderna (e qui siamo nel XIX secolo) intraprendente, intelligente e indipendente. E sì, ci mettiamo anche avvenente. La sua arma migliore è la parlantina, ma nel caso in cui non fosse sufficiente, porta sempre con sé un parasole con la punta d'argento, ottimo per difendersi da licantropi e vampiri, e la sua avventura comincia proprio così: uccide un vampiro per legittima difesa. Questi esseri sono ormai integrati nella società inglese, pertanto il vampiro in questione doveva sapere che non è educazione mordere una gentildonna senza il suo permesso, e per di più lei, di cui è risaputo (tra tutti gli esseri soprannaturali) che sia una preternaturale, ossia un'essere senz'anima (soulless).

Già con questo inizio la storia comincerà a velarsi di giallo: come mai tale vampiro non sapeva chi fosse Alexia? Nessun vampiro crea un suo simile senza la dovuta preparazione, quindi da chi è stato creato? E perché? Alexia vorrebbe indagare in prima persona, complice la sua conoscenza col capo del Prin (organo dei soprannaturali), il licantropo Lord Maccon, non sapendo che così facendo andrà a cacciarsi in una situazione pericolosissima, dove s'imbatterà in una creatura dalla natura oscura persino a lei stessa (il "Faccia di cera") e dai risvolti al confine tra l'horror e la fantascienza, steampunk appunto.

La prima parte della storia, tralasciando l'incipit e le indagini preliminari, ci sorprende perché s'incentra sui sentimenti e sui rapporti di Alexia con la sua famiglia, l'amica Ivy, l'eccentrico Lord Akeldama (un mito!), il Professore Lyall, il fedele maggiordomo Floote, lo scienziato americano Mr. McDougall, e soprattutto sul rapporto d'odio-amore con Lord Maccon (dai risvolti prevedibili ma di cui, comunque, fin dall'inizio non se ne fa mistero), poi troviamo una lunga parentesi erotica (inaspettata, questa sì!) che sfocia nella seconda parte assieme ad azione, adrenalina e un pizzico di splatter.
Nonostante gli ingredienti siano troppo diversi tra loro, leggendo si ha modo di gustare una buona zuppa.

Quand'ero ancora a stomaco vuoto, ossia non avevo ancora cominciato a leggere (okay, ora la smetto con queste metafore culinarie), il titolo dell'opera mi aveva indotto a pensare che la storia s'incentrasse sul "Soulless", ossia la caratteristica naturale di Alexia, invece, ciò non accade. Sinceramente non ho ben compreso in cosa consista questa caratteristica, non tanto il fatto che toccando gli esseri soprannaturali questi possano tornare "umani" (perché come c'insegna il romanzo, gli esseri soprannaturali hanno un eccesso d'anima), quanto il fatto stesso che Alexia ne sia priva. Voglio dire: cosa cambia in Miss Tarabotti, nella sua essenza stessa, l'essere una senz'anima? Lo scopriremo nei prossimi libri? In compenso è trattato ampiamente il tema della discriminazione, che non si riferisce alla natura di Alexia in quanto preternaturale (solo i soprannaturali lo sanno), ma alla natura di Alexia in merito alle origini italiane, al suo aspetto (carnagione olivastra, capelli folti e ribelli, forme tutt'altro che aggraziate - la copertina inganna) e il caratterino atipico, così preso dalle nuove invenzioni, dalla meccanica, dai dirigibili e dai libri, invece che dalla moda e le altre frivolezze per cui sono fissate sua madre e le sorellastre. Già, a complicare la faccenda, il fatto che suo padre sia morto e che Alexia, in quella casa, non abbia nessuno dalla sua parte (tranne il maggiordomo Floote).

Poco fa ho aperto una piccola parentesi sulla copertina, ebbene, se mi fossi soffermata su quella non avrei mai desiderato leggere questo libro; saranno gusti, ma a me non piace proprio, specialmente quella posa innaturale, scomposta.
Nel testo ho poi trovato diversi errori di battitura, addirittura delle parole ripetute oppure aggettivi non coniugati alla quantità o al sesso; delle sviste eccessive.
Ho invece apprezzato la scelta d'inserire l'intervista all'autrice e l'assaggio al secondo libro, "Changeless" (dovrebbero fare tutti così quando si tratta di saghe, trilogie ecc.!).

C'è infine un'ultima cosa che reputo importante ai fini di giudicare positivamente un libro: il finale. "Soulless", pur essendo il primo libro di una trilogia, contiene un epilogo soddisfacente, che non soffre d'incompletezza, e si potrebbe quindi considerare auto-conclusivo; ciò che muove all'acquisto del secondo libro è l'affezione ai personaggi, il desiderare assistere alle loro nuove avventure. Forse è stato un po' esagerato tirare in ballo la regina Vittoria sul finale, ma tutto sommato il suo coinvolgimento era stato ribadito più volte fin dal principio. In sostanza sì, leggerei volentieri la seconda avventura di Alexia Tarabotti, soprattutto per scoprire fino a dove è davvero senz'anima.

lunedì 11 aprile 2011

Recensione "L'acchiapparatti" di Francesco Barbi

Recensione "L'acchiapparatti" di Francesco Barbi (ediz. Baldini Castoldi Dalai)




La rivincita dell'akkapparatt!

Nel titolo della recensione non ho potuto esimermi dal fare il verso a uno dei personaggi del libro (nella fattispecie il gigante Orgo) perché questo fantasy si regge principalmente sui personaggi, sul loro carisma e il loro preciso e definito carattere; in breve, vivono.
Potrebbe sembrare una cosa scontata, invece non capita spesso di percepire i personaggi così vividamente come ne "L'acchiapparatti": li ho visti (grazie alle accurate descrizioni), li ho uditi (grazie al personale modo di esprimersi che ha ogni personaggio, dal "sì sì, no no" di Zaccaria ai proverbi dialettali di Orgo), talvolta ho sentito anche qualcos'altro (la scoreggia del gigante!) e infine, con il loro agire (dal condivisibile di Zaccaria, allo spudorato-per-cui-prima-vengono-i-propri-interessi Ghescik) sono riusciti a emozionarmi.
In sintesi, qui sono davvero i personaggi a fare la storia.

Una storia originale, atipica, esilarante nella semplicità, comica nella dramamticità, horror nella fiaba. Tocca elementi d'ogni genere, perché prende in considerazione tutte le variabili della vita, tutto quello che potrebbe succedere, che sia per caso, che sia di conseguenza all'azione di qualcuno.

Dopo la scena dentro un'osteria, dove dalla zuffa ci scappa la morte della veggente Macba, il romanzo comincia presentandoci la figura dell'acido becchino Ghesick che, mosso dalla bramosia di ricchezza (e in seguito, di potere), prima trafuga la tomba della veggente, poi riesce a ottenere il libro antico del negromante Ar-Gular; tutto questo per far sì che s'avveri una profezia.
Con il successivo recupero di un diadema d'ossidiana, Ghescik, appena lo indossa, entra infatti nella mente e nel corpo di un demone immortale situato in un'altra zona delle Terre di Confine, ossia il Mietitore, essere che ha anche la funzione di un boia per giustiziare i criminali nella città di Giloc: Ghescik tenterà di possederlo e usarlo per i propri scopi, ma ancora non sa cosa comporterà la fuga del Mietitore dal Buco in cui è segregato; si assisteranno a delle scene degne dei migliori film horror, e se lo avessi letto la sera avrei di certo fatto fatica ad addormentarmi!

Essendo il becchino Geschik a trafficare per racimolare denaro, per sfuggire a chi ha ingannato, per trovare stratagemmi che convincano "il matto" acchiapparatti, a tradurre il libro antico, a cercare di dominare il Mietitore fino a desiderare di sfuggirgli, è chiaramente lui il personaggio che muove la storia, il protagonista apparente. Sì sì, apparente. Perché mentre leggevo gli affanni di Geschik e nella storia via via si presentavano i personaggi più strani, dall'acuta prostituta che vuole redimersi, all'ingenuo oste, all'"higlander" cacciatore di taglie, al furbo mercante, alla strega, ai ladri, gli assassini, i circensi, il topo Serafino e persino i maiali, l'acchiapparatti Zaccaria agiva come gli altri: visibile ma un po' in ombra rispetto a Geschik. Mi ripetevo "no, non me la raccontava giusta"; visto che il libro è intitolato "L'acchiapparatti" non poteva essere che il ruolo di Zaccaria fosse solo quello... ebbene, le mie supposizioni erano giuste.
Quello a cui mi riferisco lo scoprirete verso la fine e vi sorprenderà, pur se avrete visto la sua evoluzione passo dopo passo; è la rivincita dell'emarginato, del considerato pazzo, del buono, perché nel romanzo non c'è personaggio più puro d'animo rispetto a Zaccaria, lui che vede il bello in tutte le cose - ad esempio nella prostituta e nel gigante - e rispetta il prossimo così come le creature, l'antico, la magia... insomma, tutto il contrario di Ghescik, che non è cattivo ma ha tantissimi difetti.
L'acchiapparatti, non si direbbe a prima vista, ma è un'eroe, e ci regala un bellissimo epilogo.
Ghescik, comunque, non lo si può detestare né giudicare, ma al tempo stesso, nememno compatire; lui è il pretesto della storia, il personaggio che, anche se in maniera enfatizzata, potrebbe incarnarsi in chiunque fra noi. Un personaggio ben fatto, come gli altri del resto, persino chi fa piccole apparizioni come il bambino nipote dell'oste.

Gli aggettivi si sprecano per questo romanzo, uno che può definirlo è anche "godibile", quindi cosa si può volere di più da un libro completo, ricco, che soddisfa a tutto tondo?
Ebbene, Barbi sta lavorando al seguito, "Il burattinaio"; già leggendo la trama, leggendo anche solo che rivedrò i personaggi che ho amato mi viene l'acquolina in bocca. Allora ecco l'esempio pratico che la brama di Ghescik non è poi così diversa dalla mia. Touché!


[Recensione pubblicata anche sul blog ufficiale de "L'acchiapparatti"; un gigantesco grazie a Francesco Barbi!]
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