Cari astronauti,
quella di oggi è la recensione a un libro che ho letto da pochissimo.
Vi preannuncio che il racconto di Farian Sabahi è una piccola gemma, scoperta grazie al GDL #aTeheranConNafisi e soprattutto grazie alla gentilezza della instagrammer Pattypici che ha deciso di prestarlo a tutte noi del gruppo, a rotazione: io mi sono prenotata per prima!
Dopo la consueta presentazione troverete la mia recensione.
Vi preannuncio che il racconto di Farian Sabahi è una piccola gemma, scoperta grazie al GDL #aTeheranConNafisi e soprattutto grazie alla gentilezza della instagrammer Pattypici che ha deciso di prestarlo a tutte noi del gruppo, a rotazione: io mi sono prenotata per prima!
Dopo la consueta presentazione troverete la mia recensione.
Titolo: Noi donne di Teheran
Autore: Farian Sabahi
Editore: Jouvence
Editore: Jouvence
Genere: Studi culturali e sociali
Data di uscita: 17 Gennaio 2014
Pagine: 55
Formato: cartaceo
ISBN: 978-8878014213
Prezzo: € 12,00
Link per l'acquisto: amazon
Sinossi:
Scritto e interpretato da Farian Sabahi, "Noi donne di Teheran" è un racconto - in prima persona femminile - sulle origini della capitale iraniana e sulle sue contraddizioni, sui diritti delle minoranze religiose e delle donne. Donne protagoniste in vari ambiti, sport inclusi, anche se troppo spesso sono state un tassello nella propaganda di regime. Un reading animato dai versi dei grandi poeti persiani e da una buona dose di ironia, per sorridere su temi complessi e abbattere i soliti stereotipi. Con una nota di Giuseppe Di Leva.
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Il racconto "Noi donne di Teheran" è un breve ma intenso viaggio nella capitale della Repubblica Islamica che non si limita a descrivere la condizione femminile ma tratta anche la storia del Paese, le usanze, le pietanze, i paesaggi... nel coinvolgimento di tutti i cinque sensi. A chi legge sembra di toccare la pietra turchina, di sentire il profumo del piatti tipici e gustarne le salse saporite, di vedere la montagna che sovrasta Teheran, di udire il chiasso del mercato. Le descrizioni di Sabahi sono così evocative grazie anche allo stile colloquiale e confidenziale, che sembra si stia rivolgendo direttamente a noi, pubblico italiano, grazie anche ai vari aneddoti che ci mostrano quanto certe usanze degli iraniani siano comuni alle nostre genti del sud.
Molto interessanti i particolari che emergono sulle tradizioni popolari (come il rito di buon auspicio per chi parte per un viaggio) e gli approfondimenti sull'ayatollah Komehini (che riguardano le mogli, i figli e i rotocalchi che danno una traccia dell'impatto di questi legami all'estero), tutte cose che avevamo già visto in "Leggere Lolita a Teheran" ma che in questo racconto breve trovano, paradossalmente, più spazio. Mi ha colpita, ad esempio, il capitolo finale che elenca tutte le donne sportive di Teheran, coi risultati che hanno raggiunto e le personali battaglie affrontate come la costrizione a nuotare coperte o a inventarsi stratagemmi per entrare negli stadi.
Il paragone per chi ha letto entrambe le opere è inevitabile: rispetto a "Leggere Lolita a Teheran" l'atmosfera è più leggera, addirittura serena! Forse perché Sabahi si è lasciata il passato alle spalle e si è perfettamente integrata in Italia, o per una questione di carattere e di vissuto, oppure ancora perché l'autrice ha voluto dare al suo racconto un'impronta diversa. Ad ogni modo è interessante guardare Teheran con gli occhi sereni e distaccati della Sabahi dopo averlo guardato con quelli arrabbiati e coinvolti della Nafisi.
Attraverso il libro si scoprono anche il fascino di antiche divinità, miti, leggende, e persino una favola sulla sovversione intitolata "Il pesciolino nero" di Samad Behranghí che ci mostra come ai piccoli iraniani non sia risparmiata la visione della vita e della morte, soprattutto l'impatto della vita del singolo su tutte le altre. L'arte ha un ruolo importante anche in questo racconto: strumento di ribellione e provocazione, sfoggia questa sua qualità soprattutto nella citazione alla poesia di Forugh Farrokhzad che è di quanto più sensuale io abbia mai letto.
Questo libro ci insegna anche le contraddizioni dell'Iran (è vietato farsi del male) e il perché questo nome, "Iran", abbia sostituito quello di "Persia". Personalmente mi ha colpita (di nuovo) anche che l'iraniano sia un popolo indoeuropeo e non arabo come si tende a pensare.
Teheran non è né Oriente né Occidente. È il punto d'incontro di civiltà contigue e indipendenti, ma è diversa. È l'emblema della schizofrenia culturale degli iraniani. Sospesi, tra Oriente e Occidente.
Teheran è una città con due anime. Una città in cui si vive sospesi. Tra modernità e
tradizione. Siamo cittadini di una Repubblica... Islamica, e la nostra
dovrebbe essere una democrazia... Religiosa, ma in realtà è un'oligarchia di ayatollah e pasdaran.
.
Sono felice di aver letto questa piccola gemma: "Noi donne di Teheran" è una lettura che integra le informazioni in nostro possesso, un piccolo frammento su Teheran (come dice Sabahi nel meraviglioso e poetico finale) capace di aggiungere ulteriori dettagli al quadro; la lettura necessaria per chi vuole approfondire storia e cultura iraniana con la spensieratezza propria di una vacanza in un paese straniero. Farian Sabahi vi farà da guida.
Avete letto questo libro? Se sì, cosa vi ha lasciato?
Se invece è la prima volta che lo sentite nominare, cosa ne pensate, v'ispira?
Fatemi sapere nei commenti!
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