lunedì 5 settembre 2011

Recensione "L'uomo dal Campanello d'Oro" di Lavinia Scolari

Recensione "L'uomo dal Campanello d'Oro" di Lavinia Scolari (0111 Edizioni)







Fantasy e miti greci



Ciò che risalta subito di questo romanzo è il consistente numero di personaggi.
Il primo capitolo lo si potrebbe considerare un Prologo visto che introduce la storia di tre ragazzi, Circe, Edoardo e Clelia, la cui presenza aleggia nel corso dell'intera storia, ma che per gran parte del romanzo cede spazio a i veri protagonisti, ossia Cassandra, Leandro, Cloe e Verdiana. I quattro s'incontrano per la prima volta (s'incrociano, è proprio il caso di dirlo) dinanzi a un quadrivio: in una via c'è la dolce Cassandra, in un'altra la temeraria Verdiana, nell'altra ancora i fratelli Leandro e Cloe, mentre la quarta è percorsa da un misterioso giovane di nome Nereo. Egli possiede un carisma tale da convincere i ragazzi a seguirlo nella sua casa/castello senza troppe cerimonie (da parte sua) né dubbi (negli altri), tranne che per la timorosa Cloe che ha un brutto presentimento, ma è costretta a fare altrettanto per non abbandonare il fratello, anch'egli affascinato da Nereo. Nel castello, durante la notte, ogni singolo ragazzo prova l'ingiustificato bisogno d'incontrarsi col padrone di casa, e così accade: Nereo li incontra uno alla volta, e spinge ognuno a guardare una rovere e il raggrinzito volto dell'uomo intagliato nella sua superficie; quello è il vero volto di Nereo, un vecchio intrappolato nella rovere. Egli ha bisogno delle caratteristiche di ognuno dei quattro giovani per tornare uomo, anche se ciò comporta che vengano rinchiusi loro, nella rovere, ma fortunatamente si salvano grazie all'intervento di colui che è chiamato "l'uomo dal campanello d'oro".
Otto anni dopo i quattro ragazzi si riuniscono per discutere di ciò che accade quel giorno e risolvere il mistero dell'uomo dal campanello d'oro, ancora inconsapevoli che così scopriranno anche la verità su loro stessi...
Questa storia ricca di fantasia si lega ai miti delle leggende greche, dove i protagonisti, comuni ragazzi dei nostri giorni, non sono altro che il Riflesso dei Primi Nati (i miti, appunto) che si ritrovano a vivere come in una sorta di reincarnazione, in questo caso attribuibile al Tempo, o a chi per lui; là dove si decidono le vite mortali, infatti, c'è lo zampino di un impostore che vuole risvegliare l'antico spirito dei Nuovi Nati (i quattro protagonisti), non perché sia interessato alle loro vite, quanto piuttosto alla preziosa Lacrima che lasciano a seguito del Risveglio. Non rivelerò quale sia lo scopo finale di tutto questo, ho già anticipato abbastanza se consideriamo che le informazioni qui esposte sono rivelate col contagocce nel corso della storia, quindi stop! Ciò che muove la lettura di questo romanzo è proprio la curiosità e il relativo desiderio di scoprire ogni verità.
Per risalire a essa, il lettore deve destreggiarsi e concentrarsi un po' di più rispetto a un'opera qualsiasi. L'autrice, infatti, sperimenta una diversa struttura del romanzo, poiché lo suddivide in brevi testi che riportano le voci di ciascun personaggio, quindi il personale punto di vista di ognuno. All'inizio è un po' difficile entrare nell'ottica, ma ci si abitua anche relativamente presto, appena entrano in gioco i quattro protagonisti e la storia comincia a delinearsi con precisione.
Penso che questa particolare struttura sia un pregio del romanzo, non solo alla luce delle rivelazioni finali (bellissima idea!), ma perché è qui che si mostrano al meglio le capacità narrative dell'autrice: la cura nei dettagli è da applausi, perché "punto di vista" significa anche vedere in modo diverso le stesse cose, in base alla propria cultura e personalità. Ad esempio, nella scena della donna che piange sulla roccia, Verdiana riconosce il suo abbigliamento come un plepio, mentre Cloe lo definisce semplicemente "drappo bianco". Emerge così anche come siano curati i protagonisti, ognuno con il suo distinto carattere, ma devo ammettere che per i personaggi secondari la caratterizzazione si fa approssimativa, forse anche perché hanno meno voce in capitolo (anche letteralmente!).
Da un certo punto in poi, il testo si compone di vari dialoghi che ricordano lo stile della sceneggiatura: questa forma non mi è piaciuta, anche se capisco che derivi dalla scelta di distaccare il dialogo dalle voci narranti poiché avviene in un luogo estraneo ai protagonisti e tra personaggi a loro ancora sconosciuti, ma in compenso mi è piaciuto l'uso di un linguaggio che sa di antico (più evidente in Morfeo e Fàntaso), oltre al fatto che è proprio in quell'occasione che comincia a svelarsi qualcosa di più in merito alla faccenda.
A proposito del linguaggio, questo romanzo mi ha colpito anche in termini di scrittura: un linguaggio ricercato che sa essere comunque facilmente comprensibile.
Ho invece trovato macchinosa la suddivisione del romanzo in tante parti a loro volta suddivise in capitoli, dove i capitoli hanno titolo e sottotitolo; eppure è una bella idea quella di basarli sui rintocchi del campanello.
Altro aspetto degno di nota, la fantastica (in entrambi i sensi) combinazione di oggetti quali il libro, la piuma e la tela; poetica la pioggia sul dipinto.
Il finale è toccante ed emozionante perché tra le righe emerge una storia di solida amicizia, ma specialmente grazie a quell'ultima incisiva risposta di Cassandra (protagonista che acquista spessore, e la mia preferenza, proprio a seguito della svolta) la storia diventa indimenticabile. Complimenti all'autrice!



giovedì 1 settembre 2011

Recensione "The Legend of Zelda: Majora's Mask" delle Akira Himekawa

Recensione "The Legend of Zelda - Majora's Mask" delle Akira Himekawa (J-pop)








Dietro la maschera, la solitudine.


"The Legend of Zelda: Majora's Mask" è il seguito diretto di "The Legend of Zelda: Ocarina of Time". Se nel videogioco lo s'intuiva, nel manga il riferimento è esplicito, accentuato dall'inedita vicenda iniziale che ci presenta Link come un bambino capace nell'arte della spada al punto d'essere convocato per insegnare le tecniche ad altri condottieri (adulti), ma come molti già sapranno, più che enfant prodige la sua abilità deriva dall'esperienza di "Ocarina Of Time", dove ha salvato il mondo di Hyrule e sconfitto il malvagio Ganondorf viaggiando nel tempo avanti e indietro di sette anni, da bambino a adulto, e viceversa; è un Link adulto nel corpo di un bambino, quello di Majora's Mask, che si lamenta perché non viene preso sul serio, sminuito a causa del suo aspetto fisico. Questa vicenda è solo un accenno a quella tematica che aleggerà per tutto il manga, facilmente riconducibile al detto "l'abito non fa il monaco", e considerando che al centro della storia ci sono delle maschere che indossandole è come assumere un'altra identità, il discorso si fa complesso.
Ma torniamo alla trama.

Prima di questa scena, il manga mostra (in anticipo rispetto al videogioco) l'Allegro Venditore di Maschere ("Happy Mask Seller") che nella foresta incontra il piccolo demone Skull Kid: l'Allegro Venditore gli illustra la Maschera di Majora, una maschera capace di realizzare qualsiasi desiderio, ma poi si rifiuta di venderla dicendogli che è una maschera proibita, dal passato oscuro e terrificante perché appartenuta a un'essere estremamente malvagio. Lo Skull Kid è un demone innocuo ma di natura dispettosa, quindi non esita a rubare la potente maschera all'Allegro Venditore, tuttavia, i suoi desideri si tradurranno in maniera drastica, perché una volta indossata la Maschera di Majora, questa plagerà il suo spirito, portandolo a desiderare la morte di tutti e la distruzione del mondo di Termina.

Termina? Esatto, questa volta Link non dovrà salvare Hyrule, ma un mondo parallelo, tra l'altro popolato dagli stessi abitanti di Hyrule che qui hanno vita e nomi diversi (pertanto non lo riconosceranno).
Link finisce a Termina perché dopo aver fatto da maestro d'armi ai condottieri, desidera partire alla ricerca di un'amica che non ha più visto dai tempi di "Ocarina of Time": la fatina Navi. In sella alla fidata Epona, percorre la foresta quando improvvisamente s'imbatte nello Skull Kid (che indossa la Maschera di Majora) e le sue due fatine Tatl e Tael (rispettivamente, sorella e fratello); lo Skull Kid lo assale, gli ruba la preziosa Ocarina del Tempo, e scappa in sella a Epona. Lanciandosi nell'inseguimento, Link giunge in una radura paludosa e affronta lo Skull Kid, il quale però gli lancia una maledizione che lo trasforma in un piccolo Deku Scrub. Fuggendo, Skull Kid lascia indietro la fata Tatl che desiderosa di rivedere il fratellino accompagna
 Link fino in città, dove in cima alla torre dell'orologio lo Skull Kid sta ordinando a una grossa luna, grottesca e inquietante, di cadere su Termina, e così accade. La scena si ripete tre volte consecutive in maniera identica, con Link che s'interroga su cosa stia succedendo, poi capisce, la chiave è il tempo: recupera l'Ocarina del Tempo e suona la melodia insegnatagli da Zelda in "Ocarina of Time", la Canzone del Tempo, ritornando così a tre giorni prima che la luna cadesse; comincia una nuova avventura per l'Eroe del Tempo!

Solo tre giorni per salvare Termina, solo tre giorni per trovare i quattro giganti del mondo (palude, deserto, mare, montagna) e invocarli per chiedere aiuto; "The Legend of Zelda: Majora's Mask" è lo Zelda più adrenalinico, oltre che il più tetro. Ricordo ancora l'ansia che mi prendeva quando durante lo scontro col boss del primo dungeon ero ormai al terzo giorno e la terra tremava, mentre l'orologio nella parte bassa dello schermo scandiva i minuti restanti; se non si riesce a portare a termine la missione, con lo scadere del terzo giorno si è costretti a suonare la Canzone del Tempo e ripartire dal primo giorno, quindi d'accapo, senza alcun progresso! Si può tirare un sospiro si sollievo solo quando si finisce il dungeon, si recupera la maschera che era del boss, e soprattutto si libera uno dei giganti, perché quello è un risvolto che trascende il tempo. Ecco, questa sensazione tesa non è affatto presente nel manga, nemmeno l'adrenalina, visto che il tutto si svolge in un'unica soluzione senza che Link suoni la Canzone del Tempo e, ancor peggio, senza che siano scanditi giorni né ore (cosa che nel videogioco accadeva di frequente, oltre all'orologio costantemente visibile, ogni dodici ore con la panoramica della città e un cupo "gong").

Trattandosi di un volume unico, nel manga sono stati tagliati i dungeon e appaiono solamente i boss nell'area specifica senza che ci siano stanze, enigmi e tutto il resto.
Un po' deludente il modo sbrigativo con cui Link batte i vari boss, addirittura senza nemmeno utilizzare le tecniche proprie delle creature che impersona grazie alle maschere. Come nel gioco, infatti, Link assumerà le identità di tre personaggi chiave: un Deku Scrub senza nome, il Goron Darmani, e lo Zora Mikau. Si tratta di tre individui deceduti che hanno un conto in sospeso con le forze del male (ad esempio il Goron che morì prima che potesse sconfiggere il boss della montagna) e che Link incontra, tranne nel caso del Deku Scrub, in forma di spiriti, che una volta placati lasciano la propria maschera, quindi la propria identità, nelle mani di Link. Dalla mia esperienza di gioco ricordo la vicenda del musicista Zora Mikau come la più intensa, per il fatto della band che lascia, dell'uovo rubato che racchiude la voce della cantante, dell'isola che in realtà è il guscio di una saggia tartaruga, ecco, purtroppo il manga si fa più frammentario proprio in questo episodio: chi non ha mai giocato a "Majora's Mask" potrebbe non capire molto di ciò che accade. In compenso (che non compensa, in realtà) si riserva una vignetta che esprime la battuta, davanti alla tomba del giovane Mikau, "qui giace un Guitar Hero"; della serie, ogni riferimento NON è puramente casuale.

Inutile dire che i tagli riguardano anche le numerose maschere (scomparse ognuna assieme alla propria funzione) e gli altrettanto numerosi personaggi secondari (scoparsi ognuno assieme alle proprie vicende personali), però, da subito appare Anju, la promessa sposa di Kafei, e devo dire che è cosa buona e giusta, visto che anche nel videogioco questa vicenda è una delle più importanti nonché una delle più difficili da risolvere. Kafei, infatti, si nasconde indossando una maschera perché è stato maledetto dallo Skull Kid che lo ha trasformato in un bambino; il compito di Link è di ricongiungere i due innamorati, che nel frattempo si scambiano lettere senza mai vedersi, e di conseguenza Anju non capisce il perché di tanta improvvisa vergogna. Se il giocatore riesce nell'impresa, il finale del gioco mostrerà delle scene che fanno un baffo a questo manga, nonostante dell'opera cartacea abbia apprezzato la frase di Tatl: "L'aspetto non conta! Anju non poteva attendere un secondo di più l'uomo che ama!", confermando così la presenza del tema che accennavo a inizio recensione.

Fortunatamente, tutte le maschere che le Akira Himekawa hanno sacrificato sono servite a dare spazio alla mitica, ineguagliabile, affascinante (insomma, la mia preferita), Fierce Deity! Tradotta nel manga come: Maschera della Divinità Selvaggia. Adoro questa trasformazione, con un Link che diventa adulto e veste un'armatura possente e coloratissima, oltre che a impugnare una meravigliosa spada a doppia lama. Questa maschera è considerata un'extra nel gioco, che può essere utilizzata soltanto durante lo scontro finale (dopo averla ottenuta sudando) e permette di battere le varie mutazioni della maschera di Majora con una facilità sorprendente. Appena ho finito di leggere questo manga mi sono messa a giocare, tornando all'ultimo salvataggio, solo per potere usare questa maschera e vederla nuovamente in azione!

E visto che sono tornata a giocarci un po', ho trovato altre differenze, in particolare il fatto che nel manga l'Allegro Venditore di Maschere vuole riappropriarsi della Maschera di Majora per loschi scopi, il che a pensarci bene non ha senso visto che era nelle sue mani fin dall'inizio, infatti nel videogioco egli si congeda da Link ringraziandolo per averla distrutta e gli sorride sereno; nessun accenno di malignità (a parte lo sguardo inquietante, ma quello è per rimarcare lo stile di "Majora's Mask").
Altra differenza, nel manga i quattro giganti alla fine si ricongiungono con lo Skull Kid coccolandolo e salutandolo allegramente, affermando che loro non si erano dimenticati di lui perché lo considerano un amico; nel videogioco, i quattro giganti compiono il loro dovere e poi se ne vanno ognuno verso la propria parte del mondo lasciando lo Skull Kid nuovamente solo, intonando una malinconica melodia che pur non accennando all'amicizia, porta con sé la consapevolezza, a detta di Tatl, che nonostante la distanza e il loro solenne compito, i giganti non si sono mai dimenticati del piccolo Skull Kid e del loro tempo passato insieme a lui. L'atteggiamento diverso dei quattro giganti non sarà di per sé una grossa differenza, ma trovo questo dettaglio più poetico, specie per una storia che parla di solitudine, quella dello Skull Kid, che pur avendo infine trovato un amico in Link rimarrà di nuovo solo, visto che Link proviene da un altro mondo (e alla fine del gioco si sente l'Ocarina che intona la Canzone del Tempo: che sia Link che vuole tornare indietro dallo Skull Kid? Altro dettaglio degno del soprannome "Grande N"!)

Per finire, il manga ci delizia con un episodio extra che le Akira Himekawa dichiarano d'aver elaborato ai tempi dell'uscita del videogioco, ma ispirate solamente da alcuni filmati: penso che sia un'ottimo prequel di quel che potrebbe essere l'origine della Maschera di Majora, senza considerare la bellezza dei disegni e l'ottima realizzazione tecnica (il che vale per tutta l'opera).

La mia valutazione in termini di stelle potrebbe sembrare contraddittoria rispetto ad alcune precisazioni che ho scritto, ma in fondo ciò che ho criticato maggiormente sono i tagli, cosa che in effetti era inevitabile viste le poche pagine a disposizione. Con un titolo del genere la cosa migliore è giocarci, quindi a meno che non siate dei fan di Zelda, preferite l'originale del Nintendo64 disponibile anche nella Virtual Console del Wii... sempre che non facciano davvero un remake su 3DS com'è avvenuto con "Ocarina of Time": magari!


venerdì 26 agosto 2011

Recensione "Wicked Lovely - Incantevole e pericoloso" di Melissa Marr

Recensione "Wicked Lovely - Incantevole e pericoloso" di Melissa Marr (Fazi Editore)







Non si può negare la propria natura

Questo romanzo era nella mia libreria da diversi mesi, e quale migliore occasione di leggerlo ora che è uscita la graphic novel ad esso ispirata?
"Wicked Lovely" narra la storia di Aislinn, diciassettenne orfana che vive con la nonna e che ha il dono della seconda vista, ossia la capacità di vedere gli esseri fatati. Nell'America dei nostri giorni, infatti, le creature fatate vivono con gli esseri umani, ma non sostenendoli e compiendo magie come la più dolce delle fatine, bensì sfruttando la caratteristica dell'invisibilità per cimentarsi in dispetti d'ogni genere, creando situazioni imbarazzanti, o in certi casi facendo del male fisico, senza considerare la brama lussuriosa di certi soggetti. Nemmeno tra gli stessi c'è armonia e quieto vivere, questo perché manca loro una guida, più precisamente il Re dell'Estate, Keenan; questa situazione vige da quando sua madre Beira, Regina dell'Inverno, ha preso potere e controllo sul regno fatato, spodestandolo e approfittando della maledizione che incombe su di lui. Keenan, infatti, riacquisterà interamente i propri poteri solo quando troverà la Regina dell'Estate, da scovare nel corso degli anni tra le ragazze umane. Ma c'è dell'altro: la prescelta che impugnerà lo scettro deve essere conscia del rischio che se non è la Regina dell'Estate si trasformerà in una Ragazza dell'Inverno, costretta a vivere nel gelo e accanto a Keenan mentre lui ne cercherà un'altra, e quando arriverà la nuova prescelta, la Ragazza dell'Inverno dovrà avvisarla di non fidarsi e di non correre il rischio, pure se per lei significherebbe la liberazione dalla sua condizione.
Il libro comincia così, con Donia, l'innamorata di Keenan, che impugnando lo scettro si trasforma nella Ragazza dell'Inverno. Quando Keenan posa gli occhi su Aislinn (inconsapevole della seconda vista della ragazza) Donia segue la protagonista e la mette in guardia, anche se in fondo non c'è ne bisogno, visto che, a parte il terrore che Aislinn prova per gli esseri fatati poiché conosce i loro pessimi comportamenti e se ne sta alla larga seguendo le regole imposte dalla nonna, lei è innamorata del suo migliore amico Seth e non ha occhi che per lui. La cosa però si complica quando anche lei stessa realizza d'essere la Regina dell'Estate: riuscirà a rinunciare alla sua esistenza da mortale, con la sua quotidianità, i suoi sogni, e soprattutto l'amore di Seth? Il mondo fatato s'intreccia con il mondo umano, e sono entrambi in pericolo.

In questo riassunto della trama si noteranno delle differenze rispetto alla quarta di copertina sul libro, dove si parla essenzialmente d'amore e si lascia intendere che ci sia un triangolo amoroso: non è così (per fortuna)! Se Aislinn all'inizio sembra essere attratta da Keenan, penso che in fondo sia solo per curiosità, perché sa qual'è la sua vera natura, e poi perché essendo un essere fatato esercita, anche inconsapevolmente, un fascino magico, unico. Ma è da Seth che lei si rifugia, è a lui che pensa in continuazione, ed è lui il ragazzo che lei ha scelto, da sempre e senza ombra di dubbio. Mi ha piacevolmente sorpreso come Seth s'impegni ad aiutarla e come tra i due s'instauri una forte complicità; forse un po' troppo perfetto nella sua pazienza d'aspettarla, e di non pretendere spiegazioni quando lei torna ubriaca dopo una notte passata con Keenan. Insomma, il classico ragazzo d'oro nascosto sotto piercing e tatuaggi, che sa cucinare, che ha successo tra le ragazze perché bello e impossibile, è irraggiungibile se pretendi una storia seria, invece scopri che è innamorato di te. Sarà anche un cliché, ma non mi ha dato fastidio.

Invece, cosa che ancora non capisco, è il titolo: wicked. Si riferisce chiaramente a Kennan, ma il Re dell'Estate non mi è mai sembrato malvagio né pericoloso, semmai sarà pericoloso l'esito quando impugnando lo scettro si scoprirà di non essere la Regina dell'Estate, ma lui di per sé mi è sembrato più che altro una vittima, sfortunato anche in amore dato che Aislinn lo tratta a pesci in faccia, poverino. Ecco sì, mi ha fatto pena, altro che paura! A parte i pensieri un po' da pezzente quando voleva mettere fuori gioco Seth, e la strategia con cui ha fatto bere Aislinn, si comporta da gentiluomo, e addirittura in uno dei capitoli finali arriva a mostrare rispetto verso Seth.

Riguardo a Donia, si tratta di un personaggio molto più importante rispetto a quanto si potrebbe pensare. In fin dei conti è stata la sua storia a colpirmi di più, specie con il romantico epilogo dell'incontro tra estate e inverno, senza contare che lei fa del suo meglio per aiutare Aislinn già dall'inizio. Da un personaggio di contorno, Donia entra nella schiera dei personaggi principali, con i suoi sentimenti, la consapevolezza della condizione in cui si trova e di ciò che non potrà mai pretendere, senza invidia nei confronti della vera Regina dell'Estate e altruista anche nei confronti di Keenan, verso cui nutre un amore profondo senza rancore. Ciò che poi Donia diventerà è sorprendente: anche lei, come Aislinn, accetterà la propria natura, verso un futuro che si prospetta in equilibrio per tutti, o per lo meno, per l'estate e l'inverno.

Da notare che per le due protagoniste ci sono forti riferimenti sull'emancipazione femminile dei nostri tempi.

Di questa storia ho apprezzato la componente fantasy e la magia nelle creature fatate: tra la mitologia e le maledizioni, tra le sostanze che provocano loro fastidio e la capacità che hanno di camuffarsi nelle sembianze umane, la lettura scorre veloce ed è avvincente, perché ci sono continue evoluzioni nelle situazioni.
Un piacevole volo di fantasia, romantico per di più. Una fiaba moderna.

giovedì 11 agosto 2011

Recensione "Hakushaku to Yousei (Il conte e la fata)" di Tani Mizue

Recensione "Hakushaku to Yousei (Il conte e la fata)" di Tani Mizue










Di bell'aspetto e niente più.


Domenica scorsa ho cominciato a guardare quest'anime, attirata dalla bellezza dei disegni, dal suo essere breve (solo 12 episodi), e ovviamente per via della trama prettamente fantasy.
La storia è ambientata nell'epoca Vittoriana, e ha come protagonista la giovane Lydia Carlton, un "dottore delle fate", ossia una specialista in grado di vedere tutte le creature magiche. Trattandosi di un raro mestiere, la ragazza è presto contattata da un misterioso giovane che, deposte le mentite spoglie e la facciata da vittima, rivela d'essere il Conte Edgar J. C. Ashenbert, e ha bisogno del suo aiuto. Non si tratta di una semplice richiesta, ma di un obbligo: Edgar mira a diventare il nuovo Conte Cavaliere Blu (nobile titolo che gli consente di avere possedimenti nelle Terre delle Fate), ma per far sì che le fate lo riconoscano come tale, deve trovare l'antica Spada dei Merrow, nascosta in un luogo sconosciuto raggiungibile solo decifrando gli enigmi scritti nel linguaggio delle fate.
Questa trama, però, si risolve nel giro di quattro episodi.
Cosa succede poi è presto riassunto: proposte di matrimonio e corteggiamenti a go-go (da parte di Edgar a Lydia), entrata in scena di un rivale in amore (la fata - maschile - Kelpie), cospirazioni da parte di una certa "Scarlett moon", e la contesa del titolo di Conte Cavaliere Blu tra Edgar e un nuovo e sinistro figuro, Ulysse, anche se il vero nemico, colui che sembra abbia compromesso il futuro di Edgar fin da bambino, è il cosiddetto "Principe".

Ed ecco perché ho valutato l'anime con sole due stelle: questo "Principe" è solo un nome, non si sa nulla su chi sia, su cosa esattamente abbia fatto, e mentre Edgar e Lydia si perdono nell'ennesima "briciola di sfogo amoroso", si continua a nominare questo "Principe" e la storia (non) finisce! Detesto quando si lasciano le domande in sospeso: quella non è una conclusione. Non sembra che ci sarà una seconda serie, ed è stata solo girata un'altra serie anime dal titolo "Hakushaku to Yousei special" che vede i protagonisti in versione chibi, mentre il manga è ancora in corso, e solo in Giappone, dove sono usciti, per ora, quindici volumetti. In realtà nemmeno l'anime è edito in Italia, infatti l'ho visto con i sottotitoli in italiano realizzati da Sarulandia Fansub che devo dire hanno fatto un ottimo lavoro inserendo anche le note specifiche quando si tratta di spiegare termini legati a miti celtici quali Morrow, Kelpie, Banshee, eccetera.

Chiaro che, nonostante la non-conclusione mi infastidisca parecchio, non è solo quello il motivo per cui ho dato un voto così basso. C'è anche la delusione nel constatare che più che un fantasy, si tratti di un puro romance, uno shojo: il lato fantasy è un semplice sfondo, le creature fantastiche fanno brevi apparizioni, ed è tutto incentrato sui battibecchi tra Edgar e Lydia; lui così insistente nel conquistarla, lei così testarda nel rifiutarsi (che petulanti!). E allora via con le innumerevoli sequenze di sguardi: mamma mia quante volte che ci si limita a inquadrare i loro occhi o i visi contornati da sfondi sbriluccicanti! Aggiungiamo il triangolo amoroso con la fata Kelpie (ragazzo che diventa un impetuoso cavallo nero) che tra l'altro Lydia aveva precedentemente rifiutato, nonostante sembri che ora un pensierino lo faccia, più qualche episodio dove la vita dell'amato/a è in pericolo, e prontamente l'innamorato/a si sacrifica, un pizzico di gelosia causata da vecchi rapporti come quello di Edgar con Ermine, e la vicenda di un Anello di Luna, che in stile "un  diamante è per sempre" doveva essere recapitato da non-si-sa-chi a Edgar come promessa d'amore, ma che lui poi dona a Lydia (dopo averlo strappato a Kelpie che voleva usarlo allo stesso scopo).

La mia valutazione è giustificata anche, e soprattutto, per dei "buchi" nella storia: ho accennato al passato di Edgar, oscuro non solo per quanto riguarda il suo rapporto con Ermine, sorella del  suo sottoposto Raven, ma anche perché si fa cenno a degli esperimenti che egli ha subito, addirittura nel cervello, poi lo si tralascia, così come non è approfondito il fatto che suo padre uccise tutti i membri della famiglia per poi suicidarsi (per questo Edgar perse il suo titolo), e il fatto che il sottoposto Raven abbia ucciso tante altre persone (per cui all'inizio sembrava che l'assassino fosse Edgar); a tal proposito, va inoltre ricordato che all'inizio i protagonisti sono costantemente inseguiti da un tizio, anch'esso dalla parte del fantomatico "Principe", che li perseguita tanto e poi svanisce nel nulla, non si sa come e non si sa perché. Non solo, anche la vicenda dell'Anello di Luna nasce da non si sa dove: penso che dopo aver tirato in ballo due graziose fatine (Marigold e Sweetpea) come corrieri espresso, fosse il minimo mostrare anche il volto di colei che aveva fatto la proposta, senza considerare che, come può non avere conseguenza il fatto che la fata (regina?) non veda arrivare il promesso sposo? A detta delle due fatine, non adempiere a tale compito provocherebbe chissà cosa!

Insomma, se guardiamo al contenuto, la storia non è affatto sviluppata in maniera sufficiente, eppure le basi per farlo ci sarebbero. Ad esempio, Raven, il ragazzo al servizio di Edgar che è posseduto da uno spirito assetato di sangue, non riesce a controllarne l'impulso omicida, ma in un discorso con Lydia lui chiede se per ipotesi lei dovesse diventare il suo padrone, riuscirebbe a non ordinargli di uccidere? Lo dice come se fosse un suo intimo desiderio, come se in realtà non volesse farlo... insomma, prometteva bene. La fata/cavallo nero Kelpie, anche lui poteva essere sviluppato in maniera diversa: facendo parte della Unseelie Court (fate maligne) dava a intendere che fosse un nemico, invece aiuta Lydia e Edgar in più di un'occasione, specialmente sul finale; sembra un po' incoerente, ma questa è sempre colpa della superficialità con cui è gestita la vicenda. Un'altro personaggio che mi è piaciuto è la Banshee, specie con la vicenda delle sue lacrime d'ambra: lì sì che c'era magia! Ma anche in questo caso ho notato una certa frettolosità nel risolvere la questione. Ho invece trovato di poco spessore il pittore Paul, mentre il fatato gatto Nico che si crede un gentiluomo è una piacevole mascotte.

In conclusione, penso che il problema dell'anime sia proprio il numero limitato di episodi, infatti ci sono diversi casi dove la sigla d'apertura e di chiusura sono integrati nel proseguimento della storia, quasi si dovessero recuperare i minuti (nemmeno le sigle sono poi un granché, sia a livello di sequenze animate sia come testi; forse si salva giusto la musica dell'opening). Chissà se la storia sia più completa nella light novel da cui è tratto l'anime, tuttavia è questo lo svolgimento che si è dato agli eventi principali, continuasse o meno, i "buchi" resterebbero e si andrebbe avanti con la storia del "Principe" tralasciando il resto.

Consigliato solo a chi cerca una storia senza troppe pretese, e dei bellocci da strapazzare con gli occhi.

mercoledì 3 agosto 2011

Recensione "Laputa - Castello nel cielo" di Hayao Miyazaki

Recensione "Laputa - Castello nel cielo" di Hayao Miyazaki







La fantascienza si unisce alla fiaba per trasmettere valori.


"Laputa - castello nel cielo" è un film del 1986 nonché la prima produzione dello Studio Ghibli in quanto tale (due anni prima le stesse persone realizzarono "Nausicaa della valle del vento", ma ancora non portavano questo nome), ideato e diretto da Hayao Miyazaki.
Per quest'opera, Miyazaki s'ispirò ai "Viaggi di Gulliver" di Jonathan Swift, precisamente a Laputa, isola volante abitata da scienziati pazzi, la quale essendo costituita da una base d'adamante poteva essere manovrata usando un gigantesco magnete; nella pellicola, questo magnete trova corrispondenza nella Gravipietra, una pietra particolare tipica di Laputa che permette (tra le altre) di vincere la forza di gravità e galleggiare nell'aria.
La piccola Sheeta, protagonista della storia, porta un cristallo di Gravipietra al collo, ma non è del tutto consapevole di ciò che rappresenta, se non il semplice fatto che le fu tramandato per generazioni dalla sua famiglia, unitamente a delle formule magiche; ciò di cui è certa, però, è che il cristallo è un oggetto ambito dall'esercito e da un'individuo mandato dal governo, Muska. La storia comincia così, con Sheeta che guarda dimessa fuori dalla finestra dall'aeronave perché è tenuta a collaborare con quest'individui, ma a provocare la svolta, l'improvviso assalto di un gruppo di pirati spaziali capitanato da Dola (loro madre), anch'essi interessati al misterioso cristallo della ragazza; con la confusione che vanno a creare, Sheeta è costretta ad allungarsi oltre la finestra e aggrapparsi all'esterno del velivolo, finché la presa le viene a mancare e cade nel vuoto.
Dopo una frenetica discesa che porta la ragazza a svenire, la caduta si rallenta grazie ai poteri del cristallo, e Sheeta viene cullata fino a raggiungere la terraferma nei pressi di una miniera, dove un ragazzino che ha appena finito il suo turno di lavoro l'accoglie tra le braccia e la porta in salvo. Il giorno successivo, Sheeta e Pazu (questo il nome del ragazzo) fanno amicizia e si confidano l'un l'altra: sono entrambi orfani, ma soprattutto hanno in comune il desiderio di trovare Laputa; Pazu vuole vendicare il padre che passò per pazzo credendo nell'esistenza della mitica isola (e testimoniandolo con una fotografia), Sheeta perché, grazie all'incontro con un vecchietto nelle miniere durante una delle tante fughe braccata dall'esercito e dai pirati, scopre d'essere l'ultima discendente dell'antica civiltà che abitava Laputa.
Costantemente inseguiti, costretti a separarsi per poi ritrovarsi proprio grazie all'intervento dei pirati, i due ragazzi finiranno col collaborare con quest'ultimi (tutt'altro che bruti a discapito delle apparenze, e decisamente mammoni), dai grigi edifici dell'esercito alla lussureggiante ed eterea Laputa.


Come in tutte le opere di Miyazaki emerge il messaggio ecologico e antimilitaristico: memorabile la scena del robot gigante e iper-tecnologico che si adopera, non per assalire i due giovani protagonisti, ma per sollevare il loro velivolo da terra perché stava calpestando un nido d'uccelli, oppure la scena in cui un robot cerca di proteggere Sheeta dall'esercito facendo scudo con il suo stesso corpo e a suo modo comunica con lei, oppure ancora, quando porge loro un fiore; sono immagini che stuzzicano la sensibilità dello spettatore e che portano a riflettere sui possibili sentimenti di un robot, di come un essere che fa parte della tecnologia possa vivere in simbiosi con la natura e rispettarla. Non a caso, il monologo finale di Sheeta parla proprio di questo: «Per quante spaventose armi si possano brandire, per quanti poveri robot si possano comandare, vivere separati dalla terra non è possibile!» Frase che ovviamente racchiude anche l'essenza stessa di Laputa, sospesa nel cielo, e che si potrebbe allacciare anche al significato della formula magica che Sheeta teme di pronunciare, quella che riguarda la distruzione; beh, pronunciandola sembrerebbe che la distruzione riguardi solo la controparte tecnologica, perché Laputa perde la fortezza, l'edificio, le mura, i robot d'assalto, ma di lei resta l'essenza, ossia un vigoroso albero dalle possenti radici e tutta la rigogliosa vegetazione circostante (del resto, abbandonata dall'uomo, sull'isola era la natura che stava già prendendo il sopravvento).


Un altro tema ricorrente è il fatto che gli adulti siano ossessionati dal potere (come Muska) o dal denaro, in questo caso rappresentato da tesori d'ogni tipo (vedere l'esercito e i pirati), mentre i due giovani si curano semplicemente l'uno dell'altra, mettendo al primo posto i loro sentimenti; inoltre, il desiderio di trovare Laputa è per loro come un'ideale da raggiungere, una missione da compiere per dei bisogni che vanno oltre alla materia. Da notare anche l'atteggiamento completamente diverso dell'esercito, che s'affanna a saccheggiare e trafugare tesori (gli stessi pirati si limitano ad arraffare qualcosina), mentre nei ragazzi, del tutto disinteressati a queste cose, emerge una sorta di rispetto per l'antica civiltà (non toccano proprio nulla!).
Inoltre, come in "Nausicaa" e in "Porco rosso", anche qui Miyazaki pone l'accento ad aspetti quali il volo, i venti, gli aerei, tanto che più che una mera ambientazione diventano i soggetti stessi dell'opera, tante sono le sequenze che li riguardano.
Dicevamo, i sentimenti di Sheeta e Pazu. Anche in quest'opera ho trovato infinita dolcezza e tanta, tanta tenerezza: i due si sfiorano, si prendono per mano, si abbracciano, addirittura si legano l'uno all'altra. C'è un contatto fisico costante, che ho interpretato non solo a livello d'affetto, ma è anche simbolo di fiducia e collaborazione.


In "Laputa", però, ho trovato anche delle differenze rispetto alle altre produzioni Miyazaki. Questa è l'opera più ricca d'azione: dall'assalto dei pirati all'aeronave di Muska all'inseguimento dei ragazzi, dalla rissa in città all'inseguimento sui binari del treno, dai bombardamenti dell'esercito contro il gigantesco robot al frenetico recupero di Sheeta, dal governare le correnti avverse, al tentativo di Pazu di raggiungere Sheeta che si trova con Muska; sono poi certa d'averne dimenticata qualcuna. Altro elemento insolito, i pirati, ossia dei personaggi che dovrebbero vestire il ruolo di "cattivi" ma non si comportano come tali, sono buffi e un po' idioti, addirittura talvolta ingenui, ed emerge così un'ironia più accesa rispetto alle altre creature di Miyazaki (complice il fatto che siano uomini e adulti). Infine, se solitamente Miyazaki non fa schierare i suoi personaggi (come già evidenziato), con Muska ci mostra uno dei personaggi più violenti e crudeli: Muska è determinato a perseguire i propri interessi, non esita a colpire Sheeta, addirittura le punta la pistola addosso e la usa almeno un paio di volte per tagliare via le sue trecce, inoltre delira come un pazzo, e non fa una bella fine; devo ammettere, però, che fisicamente mi sembra il peggio caratterizzato, lo vedo anonimo.


Meritevole è anche la colonna sonora, tanto onirica e poetica che sono in procinto di cercare i brani per ascoltarli in maniera indipendente dal film.

In conclusione, in generale, "Laputa - Castello nel cielo" è leggermente inferiore rispetto a "La città incantata", "Principessa Mononoke" e "Il castello errante di Howl", ma quelli sono mostri sacri. Considerata indipendentemente, è un'opera che si merita 5 stelle senza esitazione, per la qualità e l'emozione che sa dare, perché è uno di quei film che nemmeno quando scorrono i titoli di coda si ha voglia di cambiare canale...






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