mercoledì 29 febbraio 2012

Recensioni e Articoli Videogiochi


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giovedì 16 febbraio 2012

Recensione "Chobits" delle CLAMP (Star Comics)





(Recensione complessiva degli 8 volumi)

La felicità è... l'uomo solo per me!

"Chobits" è il primo manga delle CLAMP che ho letto, nonché uno dei lavori più famosi di questo gruppo di mangaka tutto al femminile. 
La serie, composta da soli 8 volumi, narra le storia di Hideki Motosuwa, uno squattrinato ronin (ripetente che non ha passato l'esame d'ammissione all'università) che dalla campagna si è trasferito a Tokyo, dove è subito rimasto colpito dalla massiccia presenza di PC antropomorfi. Tali PC non solo aiutano le persone durante le più svariate esigenze della vita quotidiana, ma sono parte integrante della società moderna, è infatti frequente incontrare un individuo accompagnato a una bella ragazza-PC (o ragazzo-PC), tanto diventa profondo il legame di un essere umano per il proprio computer. I PC, infatti, malgrado la sembianza umana non sono in grado di provare sentimenti, e Hideki questo lo sa bene; desidera intensamente un PC antropomorfo perché carino, semplifica la vita, li consente di chattare e inviare e-mail, e soprattutto di guardare siti porno! Mentre si affligge perché non può permettersi questi terminali di ultima generazione, Hideki trova proprio uno di questi PC in un vicolo, abbandonato tra i rifiuti: è una bellissima ragazza che se non fosse per le gigantesche "orecchie" ai lati della testa, si direbbe umana. Dopo averla faticosamente trasportata fino a casa (il peso del suo corpo sembra essere quello di un complicato "oggetto elettronico", ma solo nel primo volume - touché!), Hideki, che dei computer non conosce nemmeno le basi, s'interroga su dove sia il tasto d'accensione finché, dopo aver provato dappertutto, con estremo imbarazzo prova a toccarla . Questo è il primo di una serie di richiami hentai della serie, un erotismo che potrebbe infastidire qualcuno ma che nel complesso definirei soft, perché in ogni caso non va oltre alla malizia (pur essendo connesso a uno dei temi principali, come vedremo poi). 
La ragazza-PC, una volta accesa, non fa che ripetere una sola parola: "Chii" (da pronunciare come la "c" di "ciglia"), quindi Hideki sceglie di chiamarla proprio così. Chii, però, oltre a non saper parlare, a differenza degli altri PC non sa fare proprio nulla! Non sa cosa sia giusto né cosa sia sbagliato, non ha il senso del pudore o il benché minimo di coscienza morale (a parte che è un PC, dovrebbe comunque averlo come regola di comportamento nel suo programma), insomma, Chii è innocenza e purezza, e man mano che Hideki le insegna ogni minima cosa fino a spiegarle il significato di gesti che hanno a che fare coi sentimenti (la ragazza-PC fa sempre tante domande) Chii li impara e li fa suoi, mentre Hideki cade in confusione: sorrisini, abbracci, regali, preoccupazione per lei... "ma è pur sempre un PC!", dice lui. Riuscirà a mantenersi così freddo e cosciente quando riceverà delle e-mail anonime che gli instillano il dubbio che Chii sia uno dei PC leggendari chiamati "Chobits", capace, magari, di provare sentimenti? Per di più, due misteriosi personaggi sono sulle tracce di Chii; sembra, infatti che la nostra protagonista abbia una pericolosa influenza sugli altri PC antropomorfi...

La trama di "Chobits" ricorda molto da vicino diversi altri manga (come dice anche Hideki quando trova Chii), in particolare è facile paragonarlo a "Video Girl Ai" di Masakazu Katsura o "Elfen Lied" di Lynn Okamoto (con cui condivide la protagonista che si esprime con una sola parola - "Nyu" - e il fatto che abbia delle "orecchie" sulla testa, ma è una storia dalle tinte infinitamente più cupe), e anche qui nonostante  il comune mix di generi (fantascienza, storia d'amore e spionaggio) il tema centrale è il sociale, più precisamente il relazionarsi degli esseri umani con i PC. Intere tavole ci mostrano come umani e PC passeggiano insieme, di come le persone si preoccupano non appena i PC manifestano un malfunzionamento, e soprattutto lo vediamo nel "manga dentro il manga", ossia nel libro illustrato "La città deserta" che Chii legge con estremo interesse: "Questa città era uguale alle altre dato che per i loro abitanti era più divertente stare insieme a quella cosa piuttosto che stare insieme ad altre persone... e così nessuno usciva più di casa"; non è un po' quel che accade alla nostra stessa società? Figuriamoci se i PC avessero le sembianze umanoidi. Non a caso, da un certo punto in poi, Hideki si fermerà su una precisa domanda: perché i PC hanno le sembianze di una persona? Troveremo la risposta precisa sul finale, ma nel frattempo avremo modo di comprenderlo osservando le storie parallele, quelle dei personaggi secondari: abbiamo la Professoressa Shimizu, il cui rapporto col marito è andato pian piano spegnendosi perché le attenzioni di lui erano sempre più concentrate sul suo PC al punto di arrivare a dimenticarsi della moglie; la vicenda del genio informatico Minoru che ha creato un PC avente le sembianze e la personalità della defunta sorella; la bella studentessa Yumi che soffre per la competizione impari tra l'essere umano e una ragazza-PC programmata per compiacere il partner; per finire con la storia del pasticcere Ueda che ha preso una decisione importante per definire il suo rapporto con la donna-PC di cui era innamorato. 

Gli esseri umani si abbandonano all'amore nei confronti dei PC perché tale sentimento è collegato a un altro: la ricerca della felicità. Il manga è probabilmente più concentrato su questo sentimento, più che all'amore in sé. Porto ad esempio la frase di Minoru: "Yuzuki non è mia sorella ma un computer, però a volte mi viene voglia di dimenticarlo"; sembra un volersi illudere piuttosto che affrontare la dura realtà. Poi aggiunge: "Sono felice quando sto con Yuzuki ma a volte [...] più sono felice con lei, più mi sento triste dopo". Ciò che emerge da questa frase è qualcosa di complesso: è il dramma umano, una serie di sentimenti contrastanti che definiscono la nostra essenza. 
Concetti universali e profondi come questi li troviamo anche nel filosofico e già citato "La città deserta", che colpisce anche per come si presenta, ossia con disegni dal tratto lineare e semplice abbinati a una scrittura quasi elementare, e dai concetti ripetitivi, il che è necessario perché nella storia si rivolge a Chii. Ne "La città deserta" abbiamo come protagonista una specie di coniglietto rosa che parla di sé (quindi di Chii) e di "l'altra me stessa", la cui vera identità sarà svelata verso la fine della storia. Sono "Atashi" e "Watashi" ("io" e "me" in giapponese) e attraverso questo libro Chii comprende che anche lei deve trovare la felicità, e può trovarla poiché "l'altra se stessa" ha provato viceversa l'esperienza del dolore e della tristezza. Non solo, al di là del libro, "l'altra se stessa" la mette in guardia e la protegge entrando in comunicazione con Chii appena lei chiude gli occhi; se Chii non ha memoria riguardo al suo passato e al precedente proprietario, "l'altra se stessa" invece ricorda... tuttavia qualcosa di questi ricordi è rimasto anche in Chii, basta vedere la sua pronta reazione al suono della parola "morte" o la ferma convinzione quando parla del vestito che le ha "consegnato" l'amministratrice del condominio (vedova, ricorda da vicino Kyoko Otonashi di "Maison Ikkoku" di Rumiko Takahashi).

Le CLAMP disegnano Chii e l'abbigliano come una bambolina; una gothic lolita, per la precisione. La bellezza di Chii non passa inosservata nemmeno all'interno della storia, così avremo modo di vedere che ci sono uomini che arrivano ad approfittare pure delle ragazze come lei, le ragazze-PC. Mi soffermo su questo episodio per riallacciarmi a quello che avevo annunciato a inizio recensione, ossia la parte del corpo che accende Chii; viceversa, è quella che la fa spegnere. Chiaro. Logico. Ma forse è meglio avvisare: AVVISO SPOILER! CORRERE A FINE PARAGRAFO PER NON ROVINARVI LA SORPRESA! 
Se Chii si spegne, ciò equivale a una perdita di lei così come la conosciamo; se si spegne non sarà più la stessa e non avrà più alcun ricordo. L'altra se stessa dice a Chii: "Finché non trovi una persona che ti ama veramente, qui in fondo non devi farti toccare da nessuno. Poi, la prossima volta che qualcuno potrà farlo, lo decideremo noi!" Da qui emerge il concetto della sacralità nel concedersi, ma è una frase che racchiude anche il senso della dignità e dell'indipendenza. L'intera storia si concentra comunque su questo particolare, che è infatti il limite principale di Chii, il motivo del "Sayonara" di cui si parla ampiamente nel libro illustrato e che ha a che fare con la ricerca de "L'uomo solo per me". Chii sarà felice se troverà colui che è in grado di accettarla così com'è (cit. "che mi ami perché io sono io"), capace di sorvolare su quello che per gli esseri umani è l'unione generatrice, la massima espressione dell'amore, scegliendo così la purezza del sentimento, che va oltre ciò che è fisico. Hideki non si rende conto, ma già dall'inizio tratta Chii come una persona; continua a rifiutare di credere che sia innamorato di lei, condizionato anche dalle storie degli amici che lo circondano, ma sono poi gli stessi personaggi che lo aiutano a far luce sui propri veri sentimenti. C'è poi questo particolare: i Chobits non sono diversi da un comune PC antropomorfo, ciò significa che anche per loro ogni emozione è frutto di un programma basato su calcoli e variabili; non sono capaci di provare sentimenti. A questa cruda e deludente consapevolezza, aggiungiamo la frase che il pasticcere Ueda rivolge a Hideki: "Non sarà mai come se non fosse successo niente. Anche se venisse cancellata la sua memoria, lei esisterà per te finché tu ti ricorderai di lei". Ecco allora che cosa narra il manga: non è una storia d'amore fantastica tra un essere umano e un PC, è una storia simbolica di come nasce un'amore, indipendentemente da chi, o meglio, da cosa, la scatena. E' assurdo che un uomo finisca con l'innamorarsi di un oggetto inanimato, ma se la sua mente e il suo cuore racchiudono questo sentimento non c'è nulla da fare: l'amore è amore. Non importa chi o cosa si ama, purché si ami. 
C'è chi ancora non comprende l'amore per un cane, un gatto o un qualsiasi altro animale domestico, figuriamoci per un PC; in "Chobits" è trattato anche il pensiero comune, lo vediamo proprio con il pasticcere Ueda che pur essendo giudicato dalla gente compie la scelta più giusta secondo il suo cuore. La scelta capace di renderlo felice. Siamo poi così sicuri che l'essere umano non agisca secondo un suo personale e ben preciso programma? Chi lo dice che anche i nostri sentimenti non siano il frutto di una serie di variabili?
Le CLAMP stuzzicano il nostro modo di pensare.

Contenuti seri ma non dimentichiamo che tipico dei manga è anche la risata, che nasce da situazioni imbarazzanti e gag varie, ad esempio con la carinissima PC-portatile Sumomo, vivace e chiassosa, che si contrappone alla portatile Kotoko, riservata e misteriosa. 
Graficamente parlando, se dovessimo riassumere con un aggettivo l'intera opera nulla è più indicato di "kawaii" (carino, in giapponese): Chii è graziosa, Sumomo e Kotoko sono anche loro delle piccole bamboline,  aggiungiamo che l'edizione della Star Comics ha le prime pagine a colori... che bellezza! Da notare che la sequenza d'immagini presenti all'inizio di ogni capitolo sembrano "stacchetti" (come quelli che si usano nel mezzo di una puntata di un anime), tanto danno il senso di movimento.
In conclusione, quattro stelle perché non mi ha emozionato tanto quanto "Video Girl Ai" (sottolineo, "tanto"), ma a livello di contenuti sono entrambe due opere di grande livello, dove in questo caso è soprattutto interessante il simbolismo celato nella storia; basta non fermarsi alle apparenze.


Recensione pubblicata per la rubrica "Jappo W" su:

mercoledì 8 febbraio 2012

Recensione "Il Burattinaio" di Francesco Barbi (Baldini Castoldi Dalai)




"Il destino non lo si può cambiare, ma lo si può ingannare"

Dopo "L'Acchiapparatti" non vedevo l'ora di ritrovare la compagnia di Zaccaria, il gigante Orgo e gli altri. A muovere la storia erano infatti i personaggi, protagonisti grotteschi che catturavano l'attenzione tanto che non ci si accorgeva che la trama si sviluppava al tempo stesso, e in sottofondo, come conseguenza delle loro azioni. Ne "Il Burattinaio", invece, i personaggi che abbiamo imparato a conoscere sono al servizio della storia: si percepisce che tra un punto di vista e un altro si va svelando, tassello per tassello, una trama ben precisa. Dove vuole arrivare la storia? Se vi chiedete questo, siete stati ingannati anche voi. "Il destino non lo si può cambiare, ma lo si può ingannare", così, a muovere le sorti di ogni personaggio e a definire la storia è un unico e solo personaggio: il Burattinaio!

Quattro anni dopo la scomparsa del Boia di Giloc, l'Arconte Ossor riceve una lettera dal Consigliere della Signoria di Giloc, Melzo, che evidenzia alcuni misteri sulla vicenda, in particolare riguardo al legame tra l'orrenda creatura e lo stregone che l'ha evocata, rappresentato da un cerchietto metallico capace di piegare il Necromortenorth (questo il vero nome del Boia) ai suoi ordini. Consultando l'Oracolo che ha previsto la caduta del Regno di Olm, l'Arconte Ossor si convince che l'imminente catastrofe ha a che fare con l'oscura vicenda riportata da Melzo, per cui invia a Giloc il suo fidato Indice a capo di una squadra di Guardiani dell'Equilibrio al fine di condurre alcune indagini e riesumare il cadavere della creatura per ritrovare il fantomatico oggetto.
L'acchiapparatti ora stregone Zaccaria, intanto, si è stabilito nelle vicinanze di Ombroreggia con la strabica strega Guia, il mentecatto gigante Orgo, e gli orfani Steben e Frida scampati al massacro del Boia di Giloc nel primo libro. Zaccaria ha sempre parlato al plurale quando si riferiva a se stesso, ma ora è chiaro più che mai che in lui abitano, non due, ma ben tre diverse personalità, una di queste temuta dall'intera compagnia, che quando prende il sopravvento in Zaccaria lo lascia terribilmente dolorante e sfinito: Zaccaria lo chiama Gul. Gùlghezac è invece il nome che Zaccaria usa per definire se stesso quando è occupato dalle tre personalità in contemporanea: se "Zac" lo conosciamo e "Gul" lo impareremo a conoscere, colui che si nasconde in "Ghe" ci stupirà. Ma quale delle tre prenderà il sopravvento?

Dal primo libro faranno una breve apparizione anche Tamarkus lo speziale e Osmano il proprietario del bordello, mentre seguiremo parallelamente, fino al loro incrociarsi, le vicende dell'ex-prostituta Teclisotta (Isotta per gli amici), il capitano della Guardia di Giloc, Fulciero, ma soprattutto lo sfigurato cacciatore di taglie Gamara, colui che più di tutti incarna la figura dell'eroe invincibile.
Grandi ritorni ma anche grosse novità, con l'arrivo di personaggi come i figli di Fulciero, Tino e Nodo, lo squallido raccogli-orfani Medoro con gli orfani al seguito, e poi ancora menestrelli, girovaghi e nani, in un lungo viaggio che parte dalle Terre di Confine e va oltre, fino al Regno di Olm. La mappa che vediamo in prima pagina, subito dopo la copertina, si estende infatti fino all'ultima facciata del libro; ecco perché non trovavo il villaggio di Medara!

La scrittura di Francesco Barbi era ottima, ora è eccellente, con una padronanza linguistica da far invidia, termini tecnici e descrizioni dosate al giusto in una lettura che non annoia mai, nemmeno se si tratta di 527 pagine. L'alternarsi dei POV non disturba, al contrario aggiunge intrigo e suspance (ad esempio, leggere che Gamara sta per lanciarsi all'attacco per poi passare al punto di vista di chi sta per subirlo), inoltre, siccome mi sono trovata a leggere il libro negli intervalli di tempo - purtroppo -, sono riuscita comunque a star dietro alla vicenda, segno che non si tratta solo di una buona memoria, ma piuttosto di una storia che sa farsi ricordare, complice, lo ripeto, la personalità ben definita dei personaggi, tanto che solo a leggere una parte del testo si capisce chi è che sta parlando. 
Il momento che più definisce un personaggio è proprio durante il dialogo: già avevamo il contorto esprimersi di Zaccaria, folle quanto saggio, e i proverbi di Orgo pronunciati quasi fossero un dialetto (risate garantite; continuo ad adorare il gigante), ora abbiamo l'Oracolo che si esprime in numeri, un nano balbuziente, una delle Guardie di Confine, Tibaldo, che dopo aver perso un dente perde anche la lettera "t" (adoro la cura nei dettagli!), ma soprattutto c'è lui, l'Indice, che sostituisce la "c" con la "z" e raddoppia la "s", insomma, che così parlando fa ridere, ma vedendo poi come si comporta ci viene automatico chiudere la mascella; in sintesi, un antagonista spietato che ha anche dei punti deboli (e non solo nella pronuncia).

A proposito dell'indole spietata dell'Indice, anche stavolta troveremo delle scene crude e violente: nel primo romanzo si presentavano nel momento in cui entrava in scena il Boia di Giloc; in questo seguito vedremo come anche gli esseri umani siano capaci di atrocità (il che è anche peggio), siano essi l'Indice o i Guardiani dell'Equilibrio, sia pure con Gamara. Abbiamo violenza anche nella parte che riguarda il raccogli-orfani (soprattutto psicologica), o più sul finale quando si presenta la vicenda dei Malnati (il comportamento dei Servi della Luce ricorda vagamente la realtà ebrea). Il primo libro, inoltre, aveva visto la morte di diversi personaggi innocenti, perlopiù si trattava di personaggi secondari, qui invece vedremo la scomparsa di alcuni di quelli che si possono considerare di rilievo, cosa che mi ha colto di sorpresa ma che contribuisce a rendere una storia fantasy più realistica. Solo, è un peccato che non si spenda qualche parola in più sugli interessati.
Che "Il Burattinaio" sia indirizzato a un pubblico adulto lo si evince anche dalla presenza di alcune scene erotiche, non tanto perché siano spinte, più che altro per via del comportamento provocatorio femminile. Mi riferisco a Frida, l'unica bellissima nella storia de "Il Burattinaio" (e nemmeno ne "L'Acchiapparatti" c'erano i belli) che essendo anche giovane vive appieno le passioni legate alla fisicità e la scoperta di nuove sensazioni; vedremo come la giudicheranno gli uomini, Guia, e persino Isotta (che lo faceva di mestiere), ma d'altra parte vedremo anche come cambierà in un epilogo da rimanere a bocca aperta.

Ci sarebbe ancora altro da dire, a proposito del culto della Luce, dei suoi fanatici seguaci e degli "infedeli" (l'Equilibrio non può esistere solo nella Luce; si deve considerare anche l'Ombra!), a proposito degli effetti della Spinavera (una vera e propria droga che causa anche dipendenza), di quello spirito che entra nei corpi altrui ma che si contamina della loro coscienza e agisce anche tenendola in considerazione (fantastico, lo adoro!), di come la Somma Lucernaria ricordi la pratica della sedia elettrica (che tensione...) e a episodi geniali come il modo in cui  a Gamara viene consegnata una certa chiave, ma mi limito, appunto, a queste brevi considerazioni tra parentesi perché preferisco soffermarmi sullo straordinario epilogo.
A parte che non vedevo l'ora che quell'"essere" ritornasse, a un passo dalla resa dei conti me lo immaginavo che sarebbe finita così, vista la ricorrenza di parole come "sacrificio", "scelta", "vendetta", "consapevolezza" e "accettazione". Poi quel ciondolo che rappresenta la speranza, il giovane che scampa al pericolo e la frase che Guia rivolge a Steben, una delle migliori frasi che abbia mai letto.
Ancora più emozionante è vedere cosa accade in seguito, in quelle che non sono nemmeno una ventina di righe: Steben ha scelto chi essere; parla come lui.
In quelle poche righe è racchiuso un intero, nuovo romanzo, un ipotetico terzo libro che credo Barbi non ci regalerà, ma che la nostra mente può comunque elaborare.
Allora sognerò ancora.



giovedì 2 febbraio 2012

Recensione "Princess Mononoke" di Hayao Miyazaki (Studio Ghibli)



 

"Il fato vuole che tu vada a vedere cosa accade, con occhi non velati dall'odio"
"Gli alberi gridano quando vengono uccisi, ma gli umani non possono udire i loro gemiti."


Comincio la recensione con queste citazioni tratte dall'opera; impossibile scegliere tra le due che meglio rappresentano l'anime, considerando che sono anche quelle che mi hanno emozionato di più. 
A differenza delle altre opere di Miyazaki, magico-favolistiche, in "Princess Mononoke" si respira un'atmosfera pregna d'odio, dove violenza, sangue e crudeltà si manifestano con sempre più frequenza fino al tragico epilogo. Il messaggio ambientalista, tema costante delle opere del maestro, ed evidente nella seconda citazione, qui si fa duro, spietato come non mai.
E' subito chiaro come l'anime sia destinato a un pubblico adulto.
Ciò non significa, però, che si tratti di un film tetro e deprimente, anzi; materialismo, tensione e politica si mescolano con le immagini di una natura rigogliosa, l'amore e la speranza

Tutto comincia quando Ashitaka, principe di un villaggio Emishi, è costretto ad affrontare un gigantesco demone-cinghiale di nome Nago,.apparso improvvisamente dai boschi e diretto verso il villaggio. Durante lo scontro, il demone colpisce Ashitaka al braccio, infettandolo della propria maledizione; l'uccisione di Nago, però, non cambia il destino del ragazzo, ora condannato a subire atroci sofferenze con un'infezione diretta ad espandersi per tutto il corpo fino a provocarne la morte. 
Su consiglio della Saggia Madre, Ashitaka parte per l'Occidente in cerca di salvezza, risalendo alle cause che portarono quello spirito-cinghiale a tramutarsi in demone; per guardare ciò che accade "con occhi non velati dall'odio", appunto. 
L'indizio che fa pensare la Saggia Madre all'Occidente, è un oggetto estratto dal corpo del cinghiale, che Ashitaka scoprirà poi trattarsi di un proiettile; sono infatti le guerre l'evento scatenante, in particolare quella che riguarda la "Città del Ferro", con in testa Lady Eboshi, e la Foresta del Dio Cervo, difesa da un branco di giganteschi spiriti-lupi e l'umana San, chiamata "Mononoke" (spirito vendicativo). 
Appena Ashitaka scopre che Lady Eboshi mira a disboscare la Foresta in quanto risorsa principale del ferro, e San addirittura si presenta con l'intenzione di uccidere Lady Eboshi, decide d'intervenire ascoltando entrambe le parti e cercando di farle riappacificare: è a causa del loro reciproco odio che è nata la maledizione che lo sta lentamente consumando. 
Ma ci sono altri interessi coinvolti nella vicenda: si dice che la testa del Dio Cervo sia la fonte dell'immortalità, per questo l'imperatore ha assoldato dei mercenari per ottenerla...

Dal proiettile rinvenuto nel corpo del cinghiale alle armi prodotte dagli abitanti della città del ferro, si sviluppa il tema centrale di quest'anime: le guerre. Non si tratta solo del conflitto tra civiltà (la città del ferro) e natura (la foresta), ma riguardano anche gli uomini che si scontrano fra loro. Già nelle prime sequenze vediamo che durante il suo viaggio Ashitaka s'imbatte in un villaggio assediato dai samurai, probabilmente gli stessi che poi attaccano anche la Città del Ferro. 
Sono la ricchezza e il potere a muovere gli umani, per questo San "Mononoke" li disgusta, tanto da rinnegare la propria natura e considerarsi come la lupa che l'ha adottata, Moro. Nella storia troviamo anche un accenno alla discriminazione, con gli spiriti-scimmie e gli spiriti-cinghiali della foresta che, infuriati con gli umani che attaccano senza sosta anche di notte, quando gli spiriti-scimmie piantano nuovi alberi, ribadiscono come San non sia né umana né animale.

Emergono anche problematiche quali intolleranza e disinteresse abbinati all'assenza di comunicazione, come se ognuno si sentisse autorizzato a perseguire i propri scopi senza contare delle esigenze altrui, eppure, come nelle altre opere di Miyazaki, è difficile etichettare un personaggio come buono o cattivo: se da una parte certe esigenze individuali non sono propriamente nobili, dall'altra certe azioni portano a rivalutare i comportamenti e a non condannarli
Un esempio è il monaco Jigo che mira semplicemente a portare a termine la missione del recupero della testa del Dio Cervo per conto dell'imperatore; non si cura se sia giusto o sbagliato, si limita ad eseguire. Potremmo forse condannarlo quando vediamo che è anche un cacciatore, ma tentenniamo ricordando che ha aiutato Ashitaka all'inizio della storia, con il suggerimento di dirigersi alla Foresta perché il Dio Cervo avrebbe potuto salvarlo dalla maledizione.
Altro esempio è Lady Eboshi: mira ai profitti derivanti dal commercio del ferro, ma al tempo stesso si prende cura delle donne che erano schiave e dei lebbrosi emarginati, anche se, altra contraddizione, "li adopera" per la causa, con le donne a lavorare il ferro e i lebbrosi a produrre armi; lavorano anche di notte, sebbene a turni.
A tal proposito è interessante la condizione sociale della Città del Ferro, con quel divario fra uomini e donne dove le une si sentono più importanti degli altri perché lavorano (quindi producono), mentre gli uomini si limitano a scortare Lady Eboshi quando va a fare provviste per il villaggio o va in missione nella Foresta. Le donne, pur essendo la storia ambientata nel periodo Muromachi (1336-1573), si permettono di replicare agli uomini senza indugi, talvolta dando pubblicamente dell'imbecille. E' degno di nota anche il fatto che Lady Eboshi faccia costruire fucili leggeri perché destinati a braccia femminili, così come il fatto che lasci la Città del Ferro in completa custodia delle donne quando parte per la Foresta con gli uomini. Poi c'è quella scena in cui Ashitaka aiuta le donne durante il lavoro: con la sua forza a fare da contrappeso, si evidenzia come le doti maschili facciano la differenza. 


Ashitaka sembra essere l'unico da cui emerga il senso della giustizia e l'altruismo: soccorre i feriti, impedisce lo scontro tra Lady Eboshi e San, non si cura delle sue sofferenze e va avanti spinto da nobili ideali. Si sente in colpa quando si rende conto che il suo braccio maledetto colpisce gli avversari con una forza omicida, ma poi impara a conviverci e lo sfrutta in ciò che esula dai combattimenti (sollevando un portone, piegando una spada...); nel corso della storia vedremo anche come la maledizione si propagherà, fino a raggiungergli la mano, poi il torace. Ashitaka sembra essere anche l'unico capace di amare davvero, e col suo amore potrebbe salvare San se solo lei si lasciasse avvolgere da questo sentimento. 
La selvaggia San ha tutti i comportamenti tipici di un essere che ha vissuto in mezzo agli animali: si muove con agilità, ha una furia bestiale, fiuto... ma ha anche dei modi dolci, come quando dorme rannicchiata come un cucciolo o quando imbocca un Ashitaka troppo debole per masticare; quest'ultimo comportamento dimostra anche quanto sia sensibile, così come quando decide di affiancare lo spirito-cinghiale Ottoko perché cieco, e non lo abbandona nemmeno quando la situazione degenera. San infatti è una ragazza di sani valori e principi, ma l'unico modo che conosce per farli valere e attraverso l'uso della forza, spesso anche dove non è affatto necessaria (tipo l'opporsi ad Ashitaka verso il finale). Con alcuni dei suoi atteggiamenti, comunque, San suscita una gran tenerezza. 
Un altro personaggio che mi ha intenerito è il fedele stambecco Yakul che, tra le altre, quando è libero dalle briglie sceglie di restare comunque con il padrone.

Oltre ai protagonisti, un personaggio d'assoluta importanza è il Dio Cervo; le sequenze cinematografiche sono studiate apposta per creare intorno alla sua figura un alone di magia e mistero, di rispetto e timore. La scena che vede il suo arrivo e che si svolge nel totale silenzio, dove di lui vediamo solo le zampe e i fiori che nascono e muoiono al suo passaggio è un'immagine forte, di una bellezza inquietante,
di una poesia agrodolce; l'immagine diventa metafora, perché è il dio che può dare la vita così come la può togliere.
Un altro dettaglio che mi ha colpito, è che siccome il dio cammina a pelo sull'acqua, quando viene ferito le sue zampe s'inabissano per un po', ma poi riemerge...
Al di là di quelli che potrebbero sembrare particolari effimeri, anche le azioni del Dio Cervo non sono dettate a caso: egli, come già accennato, cura la ferita di Ashitaka ma non la sua maledizione; stabilisce il destino di Okkoto, poi quello di Moro e infine quello di San. Ma non cadrò in ulteriori spoiler.
Come non nominare, poi, i simpatici spiriti della foresta, i Kodama? Con quel tintinnio e il movimento della testa dapprima inquietante abbinato a una presenza evanescente, quasi tendessero a mostrarsi con timidezza, sanno essere anche buffi quando imitano Ashitaka che porta in spalle un uomo ferito. 
I Kodama diventano anche un simbolo, nella sequenza finale: basta un'inquadratura per trasmettere un messaggio di speranza; è questo il bello delle opere di Miyazaki e lo Studio Ghibli. 
E' quindi un finale senza eccessi, basato sulla presa di coscienza e quell'ultima immagine evocativa: la natura sopravvive comunque! Ci sono cose per cui noi esseri umani non potremmo mai avere il potere assoluto... per fortuna.

La splendida colonna sonora di Joe Hisaishi non è solo la cornice di questo che considero uno dei miei anime preferiti, bensì una componente importante, oserei dire della storia, perché capace di enfatizzare momenti ed emozioni.
E allora, emozioniamoci:







... e continuerei con queste bellissime immagini...




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